Dal periodico Rinascita Sud, n. 1-2 Gennaio-Febbraio 1983, riporto, dopo aver emendato alcuni errori, un mio articolo, su Samuele Occhiuzzi.
“Il caro amico Vito Occhiuzzi, un dottore cetrarese che vive a Bologna, appartenente ad una famiglia che nel corso dei secoli ha dato al nostro paese tanti dotti e pii sacerdoti, nonché numerosi e valenti medici, mi ha cortesemente consegnato, per esaminarlo, un vecchio manoscritto di Samuele Occhiuzzi, un laico morto all’inizio di questo secolo. Il manoscritto, una “cantica”, reca il titolo “L’Esilio di Natalia ed il rinato vandalismo europeo”.
L’opera consiste in un poema diviso in tre lunghi canti ed ha per argomento l’esilio di Natalia Kesko (1859-1914) regina di Serbia, sposa del re Milan Obrenovich, e madre di Alessandro, ultimo re della citata dinastia assassinato il 1903.
Natalia, postasi in contrasto col marito sia per ragioni politiche sia per la condotta immorale del re, fu costretta al divorzio e all’esilio.
La lettura del “Memoires de Natalie, reine de Serbie”, la conversione al cattolicesimo della stessa regina, la riconciliazione col marito e l’assassinio del giovane re Alessandro offrirono al poeta cetrarese la materia per comporre in endecasillabi sciolti la sua unica opera, di cui probabilmente prese visione il vescovo di S. Marco.
Samuele Occhiuzzi va inserito fra i minori e “più tardi cultori dell’illusione neoclassica”, ossia va collocato fra coloro che mantennero in vita, fino all’inizio del Novecento, il gusto neoclassico, a cui si richiamavano il Carducci e il D’Annunzio.
Grande e profonda è la cultura dell’Occhiuzzi. Essa va dalla mitologia alla Bibbia, dalla storia alla letteratura. Tuttavia, la consapevolezza che egli ha della sua incerta “invenzione” poetica lo costringe, qua e là, ad esprimersi con concetti, immagini e parole di Dante, Omero, Virgilio, Foscolo e Manzoni.
Probabilmente, se avesse avuto più fiducia nei suoi mezzi avrebbe ottenuto migliori risultati come lasciano credere alcuni passi nei quali si rileva una certa originalità. Sarebbe sbagliato considerare l’opera dell’Occhiuzzi un semplice “centone” di versi, pensieri, immagini e forme della poesia antica e moderna, perché il poeta calabrese, nonostante i suoi limiti, come la scarsa chiarezza di alcuni versi e la ripetitività dell’azione, dimostra, nel complesso, di possedere una discreta facoltà di rielaborazione artistica degli elementi poetici a sua disposizione.
Pertanto, la “cantica” di Samuele Occhiuzzi meriterebbe di essere pubblicata e conosciuta dopo circa settantacinque anni di silenzio. Il lavoro in versi del laico cetrarese (e non sacerdote come avevo scritto nel 1983) è dedicato “Al Supremo Gerarca Novello Prigioniero del Vaticano Pio X” (1903-1914). L’adesione ai precetti della gerarchia ecclesiastica dell’umile laico di Cetraro è totale. Egli vede nella tirannia, figlia della superbia, dell’ambizione e della prepotenza, l’origine di tutti i mali che affliggono l’umanità.
Il re Milan, da “eccelso prence”, “si è trasformato in un tiranno” simile a Nembrot, Falaride, Nerone, Tarquinio, Tamerlano, Bajazet, Napoleone.
Natalia, “donna leggiadra e pura”, “dignotosa e ingenua”, è invece colei che subisce, senza rancore, la prepotenza del despota, perché modello di “madre affettuosa e di consorte”.
Tuttavia, l’umanità soffre terribilmente a causa della tirannide, eppure, a dir del poeta, basterebbe un moto popolare per abbatterla, per darle fine:
“…Ma di che mai
la tirannìa si vanta e va superba?
Forse di sua potenza? E non sa l’empia
Che un’invisibil, popolar fiammella
Darle potria repente orrida morte?
La forza allontana brutalmente Natalia dal suo regno, mentre “il suo materno, sovrumano affetto”, la fa amabilmente sentire vicino al suo pargoletto rimasto per ragioni di Stato in patria:
“E del dolor nell’impeto, crudele
Parti ascoltar del tuo Lisandro i gemiti,
affannosi i sospiri, e ‘l volto pallido
vedergli, asperso di funeste lagrime,
sentir la voce del fanciullo ingenuo
il tuo nome invocar…Dinanzi a questa
rapida e straziante, ardente immagine
esagitata l’alma, si smarrisce:
l’occhio s’offusca: il pié vacilla: il core
i battiti sospende, e…derelitta
cade svenuta al suol gelida e smunta,
come rosa che atterra la tempesta.
Un forte pessimismo domina l’animo del nostro poeta costretto a prendere atto che nello “svolger di secoli” la “legge” del dolor, che regola il mondo, non “muta”:
E sarà sempre della specie umana
Orribile compagna la sciagura.
L’Occhiuzzi cerca e trova nella fede il rimedio al dolore, così come fa l’eccelsa Natalia:
Tu mi conforta nella mia sciagura,
o Giudice de’ mondi, che volesti
sul Golgota spirar sovr’una croce.
Conosci, o padre, l’innocenza mia,
deh fa’ che un giorno il mondo la ravvisi…
I miei nemici, o Redentor perdona.
Natalia richiama alla memoria la nobile ed innocente Ermengarda della tragedia “Adelchi” del Manzoni:
“e sì gli dica (a Carlo)…ch’io gli perdono”.
Ho dato notizie di Samuele Occhiuzzi, alias Gnierro, nato il 1839 e morto il 1910, anche sul mio saggio “Cetraro fine Ottocento e inizio Novecento”. In qust’ultimo saggio, del 1999, ho affermato che negli anni 1903-14, a Cetraro, c’erano ancora cattolici nostalgici del potere temporale. Essi avevano accettato la giustificazione, fornita da Pio IX dopo il 20 settembre 1870, secondo cui il potere temporale alla Sede Apostolica era stato concesso dalla Provvidenza divina. Samuele Occhiuzzi abitava in via S. Giovanni e lasciò la sua casa, con annesso giardino, alle suore Battistine. Nel 1983, lo ricordavano Giuseppe Ferraro ed altri. Da Dora Laino, invece, appresi che don Samuele aveva lasciato la sua modesta casa (vedi fotografia) alle suore Battistine. Il manoscritto, conservato per lungo tempo dalla famiglia De Giacomo, era passato al compianto Vito Occhiuzzi“.