La scomparsa di Monsignor Domenico Crusco, vescovo emerito della Diocesi di San Marco e Scalea, avvenuta nei giorni scorsi, non ha avuto l’eco che solitamente gli avvenimenti di portata storica hanno sui media e negli stessi ambienti di riferimento.
Ciò anche per volontà esplicita del dignitario scomparso, il quale nel suo testamento spirituale ha disposto che durante le esequie, dopo la proclamazione del vangelo, non seguisse alcuna omelia ma solo alcuni minuti di silenzio e preghiera.
Vescovi, sacerdoti, religiosi e tutte le massime Autorità presenti presso la Cattedrale di San Marco Argentano, dando alla disposizione un’interpretazione del tutto estensiva, hanno quindi completamente taciuto, per tutto il tempo del solenne rito funerario, astenendosi da qualsiasi pubblico elogio.
Non ritengo, costituisca però, atto di disubbidienza se, al di fuori del rito strettamente religioso, un anziano militante laico che ha avuto la ventura di servire, in umiltà, il suo altissimo e fertile ministero pastorale in seno al Consiglio Pastorale Diocesano, sul terreno della prevenzione all’usura e in seno alla Caritas diocesana, ne tenti un breve, riconoscente quanto inadeguato ricordo.
Non tocca certamente a me, assolutamente privo delle necessarie competenze, richiamare in dettaglio l’immensa mole di bene disseminato durante il suo episcopato all’interno dell’istituto ecclesiastico e sul vasto territorio della Diocesi.
Io desidero soltanto dirgli, ritenendo d’interpretare i sentimenti dell’intera comunità silenziosa della Diocesi, “Grazie, Don Domenico, di esser passato in mezzo a noi con l’autorevolezza di un esempio luminoso, che ha lasciato traccia nel cuore di tutti .”
Lo ricordo ancora semplice sacerdote, quando veniva, talora, a sostituire Don Saverio nella chiesa di San Marco Evangelista, a Cetraro, e ricordo le sue belle omelie pronunciate a braccio, sempre in estrema semplicità, accompagnate dall’inizio alla fine, dal sorriso bonario che disegnava i lineamenti di un volto sempre disteso e sereno.
Un po’ prolisse, talora, perché dettate dall’urgenza e dall’ansia generosa di comunicare agli altri tutto ciò che di zelo e fervore apostolico coltivava in petto, forse presago della malattia che subdolamente incombeva, che poi lo avrebbe attaccato e condotto a morte.
Lo ricordo nelle sale dell’Episcopio, dove accoglieva con cordialità e finezza di modi, fedeli e collaboratori, ponendosi all’ascolto umile e attento, delle osservazioni, delle richieste e dei bisogni che caratterizzavano, e caratterizzano ancora le varie foranie della Diocesi.
Lo rivedo nelle cerimonie e nei tempi forti della Chiesa, nella solennità dei paramenti sacri, quando passava in mezzo alla folla, modulando il passo al ritmo maestoso del pastorale, la mitria in testa e la mano tesa a salutare e benedire, sempre con lo stesso atteggiamento sereno, carico di benevolenza e amore paterno.
Lo ricordo, nelle frequenti adunanze tenute presso la Colonia marina delle brave Suore Battistine, a Cetraro, dove teneva i suoi più importanti e condivisi convegni ecclesiali e i suoi appuntamenti con i fedeli della Diocesi, sempre accolto con filiale rispetto e devozione.
Lo ricordo, nella prediletta area del Pettoruto, dove, all’ombra del Santuario che volle più grande e più accogliente, veniva spesso a sospingere con la sua presenza la progressione dei lavori, perché voleva vederli ultimati prima di passare il testimone al nuovo Pastore.
Lo ricordo, in intima, devota e personale gratitudine per aver siglato con la sua alta e qualificata prefazione, dando, insieme alla postfazione del Rettore don Ennio Stamile, immeritata dignità, alla mia “Storia di Monte Serra”.
Raggiunto infine il traguardo che poneva fine al suo mandato, nel corso di un incontro confidenziale, mentre consumava le ultime briciole di tempo nella carica di Pastore e attendeva la nomina del suo successore che tardava a venire, osò esprimere una sua intima, ultima speranza: “Forse il Signore vuol darmi ancora del tempo per ottenere gli ultimi attesi finanziamenti e vedere il completamento dell’opera”.
Anche noi speravamo che lasciando poi il soglio vescovile, potesse rimanere a lungo tra noi, per continuare la sua feconda missione da semplice sacerdote, lontano dalle responsabilità di ministero.
Ma i nostri tempi non sono evidentemente quelli del Padre, che sconvolge i piani dei comuni mortali come quelli dei suoi stessi ministri, per sintonizzarli con i suoi fini reconditi che non coincidono quasi mai con le nostre ragioni.