I parte
Interpretando la volontà di una parte dei numerosi lettori (n. 1285: Cetraro: scrittori – poeti – critici; n. 1790: Storiografia cetrarese; n. 725: Giudicate voi) e assecondando il desiderio di tanti amici, sono spinto, temporaneamente, a soprassedere alla mia decisione di non collaborare con Cetraro in Rete. Determinante è stato per me l’intelligente e dotto prof. Luigi Leporini, il quale, proprio attraverso questo blog, mi ha invitato, a riguardo della chiesetta dell’Annunziata, a ricordare ai giovani qualche frammento delle mie ricerche. Qualcuno, giustamente, potrebbe tacciarmi di incoerenza. Confesso di trovarmi in disagio tra tante voci anonime del blog.
Dedico questo mio articolo al mio caro nipote Alberto Iozzi, il cui affetto per Cetraro è grande e traspare anche dalla passione con cui, dal Regno Unito, segue Cetraro in Rete.
Parlerò della nascita del Borgo S. Marco riportando le notizie contenute nel mio lavoro Cetraro fine Ottocento e inizio Novecento, Mazzitelli, Cetraro 1999, Pro Loco – Civitas Citrarii.
Su Nuova Comunità, ott. 1994, affermo: “Senza enfasi (…), devo dire che, se si esclude un mio recente saggio, Borgo S. Marco – Giornalini – Marinari, pubblicato nel settembre 1993 sulla rivista l’Ellade, la letteratura storica sul villaggio marinaro è quasi inesistente. Il detto saggio raccoglie, con alcune aggiunte, tre articoli apparsi su Rinascita Sud (luglio 1985) e su Nuova Comunità (nov. e dic. 1988)”.
Su quest’ultimo periodico, nell’ottobre e nel novembre del 1994, ho pubblicato due lunghi e dettagliati articoli aventi i seguenti titoli: Borgo S. Marco: testimonianze scritte e Vendita delle palazzine del Borgo S. Marco. Anche in un altro mio lavoro, Cetraro – Un occhio sul passato che conta” (2004), disserto sul Terremoto – Borgo S. Marco – Giornalini.
I due articoli del 1994, di recente, sono stati ripubblicati sul locale blog Rosso Cetraro.
Informo i lettori che, nonostante i miei numerosi scritti, io non sono stato invitato a far parte dei relatori del convegno sul centenario della nascita del Borgo. Una attenta lettura del mio scritto riguardante il Borgo e dei resoconti del menzionato convegno può aiutare ad acquisire un’idea dello sviluppo della storiografia cetrarese.
I saggi di storia vanno giudicati da chi ha conoscenza della storia, da chi è fornito di competenza, da chi sa giudicare serenamente, tenendo conto delle date di pubblicazione dei lavori e ciò per stabilire, come dice Federico Chabot, chi “si sia servito di altri scrittori”. Tale operazione, sempre secondo lo Chabot, consente di decretare se un’opera è originale o se è una “ripetizione del pensiero altrui”. Proprio per evitare la ripetizione di notizie e concetti già noti, Benedetto Croce, in Storia del Regno di Napoli, afferma: “I lavori di storia, quando procedono in modo pensato e critico, debbono…, com’è giusto, presupporre quel che già si ha nei libri sul soggetto trattato e dare solo quel che di nuovo si crede di poter fornire in proposito per la migliore e più completa intelligenza dei fatti”.
Ecco le notizie sulla nascita del Borgo contenute nel mio citato lavoro del 1999 (pagine 19-33):
“L’otto settembre 1905 un disastroso movimento sismico colpiva quasi tutti i Comuni delle tre province calabresi. Alcuni paesi venivano distrutti mentre altri subivano gravi danneggiamenti.
Il Governo, con una straordinaria tempestività, il 22 settembre 1905, tramite un Regio Decreto, firmato dal Re Vittorio Emanuele III, stabiliva, per i comuni danneggiati dal terremoto, la sospensione della riscossione delle rate d’imposta sui terreni, sui redditi di ricchezza mobile e sui fabbricati urbani e rustici.
Successivamente, il 25 giugno 1906, il Governo approvava una legge che recava “provvedimenti a favore della Calabria” e convertiva in legge il Regio Decreto citato.
Le disposizioni di legge riguardavano provvedimenti a favore dei danneggiati dal terremoto, provvedimenti a favore delle opere pubbliche (viabilità ordinaria, sistemazione idraulica, bonifiche, porti, ferrovie), credito agrario, provvedimenti per l’agricoltura, per il rimboschimento e l’istruzione professionale.
Per quanto riguarda Cetraro, la nuova legge contemplava la costruzione della strada provinciale n. 110, dalla “Marina di Cetraro, pei pressi di Fagnano, di Roggiano e la Stazione di Tarsia, alla nazionale presso Spezzano Albanese”, già autorizzata con legge 22 luglio 1881, e, inoltre, il tratto che congiungeva la provinciale n. 110 alla Stazione ferroviaria di Cetraro.
A favore della Calabria, oltre allo Stato, operavano tanti cittadini, i quali si prodigarono in una gara di solidarietà mettendo a disposizione i fondi offerti dalla pubblica carità.
Un Comitato Veneto Trentino, raccolta una somma di lire 174.037, decise di costruire un villaggio in Calabria. Dopo il rifiuto del Comune di Terrati (Lago), la scelta, tramite l’intervento del deputato De Seta, cadde su Cetraro, i cui amministratori, il 23 settembre 1906, presero l’impegno di fornire gratuitamente i terreni su cui edificare il villaggio marinaro. L’iniziativa mirava a dare una casa ai pescatori e ai poveri.
Poiché gli arenili a valle della ferrovia erano caduti nelle mani dei notabili che li avevano acquistati dal Demanio, fu gioco forza venire a patti con essi. Dopo diverse controversie, il Comune acquistò dai proprietari circa 22.200 mq. di terreno che successivamente cedette gratuitamente al Comitato. Tra i proprietari, il più ostile fu Salvatore Ricucci.
Il comitato Veneto Trentino era formato dal Sindaco di Venezia Grimani, Presidente, da Guglielmi Sindaco di Verona, da Silli Podestà di Trento, dal Presidente della deputazione Provinciale di Treviso e dall’ingegnere Cav. Beppe Ravà, delegato della Commissione.
Il nostro Sindaco avv. Ferdinando De Caro, in una seduta pubblica del 25 gennaio 1907, annunciava al Consiglio la costruzione alla marina di un villaggio ad iniziativa del Comitato Veneto Trentino pro Calabria coi fondi della pubblica carità (Delibera del 29 – 01 – 1907).
Da parte sua, il Comitato, tramite il suo rappresentante, inviava al Comune di Cetraro “lo schizzo planimetrico del villaggio”, sollecitando, nel contempo, la cessione del terreno. Lo stesso delegato, ing. Cav. Ravà, in data 5 marzo 1907, inviava al nostro Comune una nota, a cui era allegata copia dello Statuto per l’erezione in Ente morale del Comitato stesso. I primi due articoli dello statuto recitavano:
- Il Comitato Veneto Trentino “Pro Calabria”, formatosi colla fusione dei vari Comitati sorti nella Regione veneta e nel Trentino per soccorrere i danneggiati del terremoto dell’11 settembre 1905, ha deliberato di destinare le somme raccolte al seguente scopo: La costruzione di una borgata sulla spiaggia di Cetraro (Cosenza) che a perpetuo ricordo del soccorso dei Veneti e dei Trentini assumerà il nome di Borgo Veneto Trentino;
- Il Borgo che sorgerà su terreno donato dal Comune di Cetraro all’Ente Morale rimarrà in proprietà dell’E. M. stesso e le case verranno concesse in locazione ai naturali meno abbienti del Comune predetto, e preferibilmente ai marinai e pescatori.
I lavori di costruzione del nuovo villaggio procedettero con sollecitudine e in data 31 maggio 1910 il sindaco Ferdinando De Caro riferiva al Consiglio Comunale che i lavori del Borgo marinaro erano in una fase di ultimazione e che il Comitato di Vigilanza, con sede in Venezia, aveva stabilito la data d’inaugurazione per il 10 luglio.
Va detto che ai lavori di costruzione del Borgo partecipò una squadra di Veneti che si distinse per la sua laboriosità e per la facilità con cui si inserì nella nostra comunità cittadina.
Secondo alcuni esponenti della stampa, il “costruendo borgo marinaro sul lido” di Cetraro era destinato a risolvere il nostro “problema economico” e a produrre “l’ambito benessere”, mentre altri, pessimisticamente, “affermavano il contrario”. C’era chi si preoccupava dell’indebitamento del nostro Comune costretto, per l’acquisto dei terreni e per “la conduttura dell’acqua potabile al borgo”, ad accollarsi una spesa di lire 25.000.
Fu inevitabile il ricorso a prestiti e a mutui.
II parte
La schiera di coloro che scrivono su materie storiche è numerosa, tuttavia va precisato che sono pochi i veri ricercatori, uomini silenziosi, che, ponendo alla base dei loro studi la ricognizione delle fonti archivistiche, promuovono la vera conoscenza storica dei fatti e dei personaggi. Sono invece tanti, e crescono in modo smisurato e rumoroso, coloro che scrivono seguendo pedissequamente le altrui “sudate carte”, spronati dal desiderio di gloria.
Questa mia considerazione è stata riportata nel libro Notizie storiche – S. Benedetto Ullano (2009) del chiarissimo prof. Romano Napolitano, il quale precisa: Frase recisa, veridica, incisiva, di L. Iozzi, da: Giovanbattista Spinelli, figura di primo piano nella Storia italiana del XVI secolo, Presentazione scritta al saggio di M. Santoro, Giovanbattista Spinelli, Conte di Cariati e Duca di Castrovillari, alla Corte dell’Imperatore Carlo V, Editoriale progetto 2000, Cosenza, luglio 2008. p. 7.
A mio parere, con lo studio si può diventare scrittore, verseggiatore, latinista, ma storico e poeta si nasce. Lo storico, tra l’altro, deve amare “il santo vero” e deve avere la passione per la ricerca. Riprendo il discorso sul Borgo:
“(…) La polemica divenne lotta spietata, feroce, calunniosa, che coinvolgeva tutto il paese, come si può rilevare da numerosi periodici e dai due giornalini cetraresi: Cetraro Nova e L’Aurora.
Il primo giornale, fondato da Attilio De Caro, Luigi Losardo e Francesco Aita, (…) dal mese di settembre 1909, (…) cominciò, contro l’Amministrazione Comunale, una campagna dura, che coinvolgeva tutte le questioni: l’inerzia amministrativa, la situazione finanziaria, il Borgo marinaro e l’assegnazione delle case, la “Società Cooperativa tra muratori”, di cui venivano messe in evidenza da F. Aita le irregolarità di funzionamento.
(…) Detto mensile, soffermandosi periodicamente sul costruendo Villaggio Marinaro, parlava di assurde mostruosità edilizie, di triste opprimente sistema cellulare, di porcili, di case per una colonia di reclusi, di case con stanze come celle carcerarie, di stanzette soffocanti (Cfr. Cetraro Nova, n. 6, 12 sett. 1909; n. 4 , 29 maggio 1910). Certamente alcune cose andavano rivedute.
Cetraro Nova, senza soluzione di continuità, denunciava le negatività del nuovo complesso edilizio e ciò, come sostenne il Sindaco, non per porvi rimedio e migliorare l’abitabilità delle nuove case, ma per scoraggiare i meno abbienti (poveri e pescatori), ancora indecisi, sulla scelta di una nuova abitazione.
Intanto era nato un altro periodico intitolato L’Aurora, il cui Redattore Responsabile fu Vincenzo Militerni.
(…) Giudizio positivo, attraverso L’Aurora, aveva espresso, nella primavera del 1910, Vincenzo Militerni, un osservatore attento ed obiettivo: “Il Borgo… tecnicamente parlando, può dirsi un fatto compiuto; e la tecnica, in quanto riguarda l’esecuzione e la bontà dei materiali, è d’una scrupolosità sorprendente. Esteticamente, per chi l’osserva dall’alto del paese, è armonioso, nella sua semplice e spigliata bellezza…”. Tuttavia, il Militerni, con onestà e lucidità, aggiungeva “che lo Statuto regolatore della nuova borgata poco o nulla risponde, in effetti, alle promesse dei nostri benefattori” (L’Aurora, n. 1, 2 aprile 1910).
Egli precisava che le case della borgata andavano concesse “gratuitamente alla povera gente del paese in prevalenza ai marinai”. Il “vero povero”, a suo parere, non poteva “pagare una tassa non lieve, relativa a imposta fondiaria, manutenzione e assicurazione”. Secondo il Militerni, per curare le piaghe della “nostra vera miseria”, lo Statuto andava riveduto e in modo particolare l’articolo 4.
Il 29 maggio 1910, il De Caro sferrava un articolo (Cfr. Cetraro Nova, n. 4) duro contro il Borgo: egli si soffermava sulla “nostra classe marinara”, rappresentandola come “un piccolo mondo esaurito, nel quale il “nostro buon marinaro”, in modo quasi poetico-caricaturale, è visto come un “randagio”, da tempo proiettato da “aneliti ulissidi” verso una “vita oceanica” d’emigrazione, vita che lo aveva portato a un “livello sociale relativamente discreto” da possedere case migliori di tanti altri cittadini e pertanto non nelle condizioni di avere bisogno delle anguste e soffocanti case di cemento armato del Borgo.
(…) Nello stesso articolo, per un “sogno informe ma vasto di una trasformazione radicale della nostra angusta e patriarcale esistenza collettiva”, Cetraro Nova propose alle autorità d’istituire “premi e facilitazioni” per incoraggiare “una colonizzazione marinara e specie industriale del Borgo San Marco da realizzarsi con una emigrazione nordica” e di “gente già evoluta ed esperta” (L’autore non aveva nessuna conoscenza dei marinai cetraresi, i quali lavoravano o avevano lavorato sui pescherecci oceanici di Montevideo. Alcuni di essi erano rientrati in Italia dopo la notizia dell’edificazione del Borgo).
(…) La proposta irreale del giornale, vista come provocazione, suscitò molte proteste, critiche e discussioni.
Cetraro Nova, sotto la dilettantistica, giornalistica, lotta intesa a trasformare il paese in “un centro irraggiante di fervida attività operosa”, nascondeva il desiderio di ostacolare tardivamente il cammino del Borgo e del sindaco Ferdinando De Caro? Il Sindaco credette di aver capito tutto. Egli, con molto garbo e spirito realistico, faceva osservare all’egregio Direttore del giornale citato che, se era vero che “le nuove costruzioni” non corrispondevano ad “un comodo tipo d’abitazione”, non era giusto far nascere nei poveri e nei marinai la “paura di soffocazione” perché le case che offriva Venezia (Comitato Veneto Trentino) non erano “poi tanto celle carcerarie da farle non preferire alle umide e buie abitazioni della nostra Marineria”, dove gli abitanti marinari dormivano “tutti…nella istessa camera per non dire nell’istesso letto”. Precisava, inoltre, che, secondo il parere di un medico, “parecchie case della Marineria” andavano “dichiarate inabitabili (Cfr. Cetraro Nova, n. 5, 30 giugno 1910).
(…) L’Aurora, così come aveva fatto il Sindaco, avvertì il bisogno di confutare, con un lungo articolo, le richieste di Attilio De Caro, il quale, come precisava il suo giornale, veniva accusato di “aver voluto” “strappare ai nostri buoni marinai le loro case, concesse piamente con nobile dono, per darle a dei nordici predoni industriali”.
La gente si chiedeva quali fini inseguiva Cetraro Nova (…). Il giornale (…) garantiva di non aver agito per “sostenere” interessi di parte.
(…) Già l’anno prima, mentre i “lavori della borgata” procedevano alacremente a mezzo della società cooperativa locale e d’una squadra di solerti operai veneti”, Il Corriere d’Italia aveva chiesto che venissero apportate “serie modifiche” al Regolamento del Borgo. L’articolista, un cetrarese, aveva giudicato “poco pratico lo statuto regolatore del Borgo” perché, essendo stato lo “statuto compilato troppo lungi da noi”, non aveva saputo “interpretare i bisogni” della gente e in particolare dava l’impressione che volesse “negare al vero povero financo l’uso d’abitazione in quelle palazzine (Corriere d’Italia, 19 marzo 1909). L’articolo 4 vietava la sub locazione.
Anche Cetraro Nova riteneva non idoneo lo Statuto, mettendo in evidenza la difficoltà che avrebbero trovato i poveri nel pagamento della tassa prevista per la locazione.
(…) Su scala locale, L’Aurora proponeva per la nostra classe marinara (pescatori) un’attrezzata “scuola di pesca” e la costruzione di un porto. La scuola avrebbe dovuto dare “alle valide braccia dei nostri marinai quell’ammaestramento capace di procurare loro quel pane che andavano a cercare sotto altro cielo, ossia in Uruguay.
(…) Il giornale, sicuramente, rappresentò per Attilio De Caro, finanziatore e principale collaboratore, una esperienza utile.
(…) il comportamento … del De Caro dell’esordio della sua attività politico – giornalistica, forse, era in parte condizionato dal fratello maggiore, Ludovico, il quale, il 28 gennaio 1907, in Consiglio Comunale, sulla questione del Borgo, aveva assunto un comportamento di ostilità, proponendo la denuncia alle autorità di quei cittadini che in modo non urbano avevano disapprovato l’indecisione dei Consiglieri.
Forse, l’avvocato Ludovico De Caro profeticamente (oggi aggiungo con lungimiranza) aveva intuito che per il Comune l’onere della costruzione del Borgo sarebbe stato troppo gravoso se non disastroso. Questo spiegherebbe meglio la condotta di Cetraro Nova.
(…) Intanto la storia del nuovo villaggio si era conclusa. Esso non assunse il nome di Bogo Veneto, Trentino, ma quello di Borgo San Marco, in ricordo di Venezia e della sua basilica.
Dopo il 1911, forse durante l’estate del 1912, alcuni pescatori accettarono quelle case, ma il giorno dopo restituirono le chiavi. Essi, come affermò Giovanni Giordanelli (Seduta consiliare del 30 -11 -1914), consigliere comunale e vice presidente della Commissione esecutiva del Comitato, si rifiutarono di “abitare quelle casette” perché, ad imposte chiuse, si avvertiva un “enorme caldo”.
Nonostante i solleciti non si fecero modifiche, “nulla si fece per regolarizzare il malfatto”: finestre poco ampie e tetto in cemento, senza coperture di tegole. Soltanto in un secondo momento, i sopralluoghi del Medico Provinciale e di un Ispettore del Ministero dell’Interno accertarono l’inabilità di dette palazzine. Il Comitato fu costretto a far eseguire diverse modifiche alle casette.
Il Comitato Generale dell’Ente Morale Veneto Trentino Pro Calabria, in data 6 novembre 1915, deliberava lo scioglimento dell’Ente e l’assegnazione del patrimonio del Borgo al Comune di Cetraro affinché l’amministrazione, nell’interesse dei cittadini, provvedesse ad attuare gli scopi indicati nello Statuto.
Il nostro Comune accettava definitivamente l’assegnazione di dette palazzine il 23 gennaio 1919, dopo il superamento di alcune controversie con il Ministero degli Interni.
Allo storico non spetta giudicare, ma raccontare i fatti e da questi si evince che le diciotto palazzine, costruite per essere “concesse in locazione ai naturali meno abbienti” e “preferibilmente ai marinai-pescatori”, finirono, con regolari atti di vendita (a partire dal 1926), nelle mani della piccola e media borghesia e dei professionisti. Non mancò la voce dell’opposizione contro il sistema di vendita: dottor Leopoldo Giordanelli, Agostino Picarelli, Francesco e Achille Occhiuzzi”. (Dall’opera: “Cetraro fine Ottocento e inizio Novecento, 1999”.
Il sopra riportato saggio, nel lavoro “Lettura critica di Cetraro Nova” (2004) dell’amico giornalista Lido Picarelli, viene citato numerose volte. Lido riporta nel suo libro le fotografie del Borgo mentre era in costruzione e precisa che esse fanno parte dell’Archivio Giannino Aita. Le stesse fotografie sul Borgo, senza il nome del compianto amico Giannino, erano state riportate in “Pagine di Storia locale”, a cura di A. Cosentino, 1986.
III parte
Quando, nel 1984, il compianto amico don Francesco Russo, il maggiore ricercatore calabrese, mi fece omaggio, nel suo studio di Corso Rinascimento in Roma, di una delle ultime copie di un suo libro, “Scritti storici calabresi , Cam Napoli 1957”, rimasi colpito da una sua affermazione, contenuta a pag. 239, che sintetizzo così: “…lo storico, che si proponga di fare opera seria, scientifica, coscienziosa, ha l’obbligo di verificare o rettificare e di non credere ciecamente negli scrittori che lo hanno preceduto”.
Sono pochi gli studiosi che applicano quella metodologia corretta, a cui sembra voler alludere padre Russo; inoltre, tanti, pur attingendo a piene mani dalle opere altrui, credono di conferire originalità ai propri lavori, giungendo volutamente a conclusioni differenti da quelle degli autori di cui si sono serviti.
Nella mia presentazione scritta al libro Malvito in Alta Valle dell’Esaro, del prof. Felice Arcidiacono, nel 2010, affermavo: “…scrivere sulla storia locale, soprattutto laddove si può contare sull’appoggio politico e sul contributo delle istituzioni, è diventato una mania e non importa se si ripetono notizie e concetti già noti da tempo. Un mio amico scriveva che, per tanti, la cosa importante è vedere il proprio nome stampato su un mucchio di carte”.
Trascrivo altre notizie sul Borgo S. Marco riportate nel mio lavoro Cetraro un occhio sul passato che conta” (2004), pagine 98-99:
“Da L’Aurora, datato 10 novembre 1910, apprendiamo: “…i lavori di costruzione – del Borgo – sono ormai al completo e la festa inaugurale, tanto attesa e tanto perseguitata dal fato, non avrà più luogo, ovvero si è già svolta a Roma in Montecitorio… Colà l’impresa costruttrice ha creduto convocare il Comitato esecutivo per consegnare alla sagace direttiva di esso, bello e finito, il nostro borgo S. Marco, che è ora la speranza più promettente della cittadinanza!”.
“Il giornale sopra citato fin da giugno contrappose a Cetraro Nova le sue tesi, che venivano serenamente riepilogate nel n. 6, del 14 settembre. Esse erano a favore della scuola di pesca e contro la peripatetica cattedra di agricoltura. Il Borgo costituiva una solida speranza, perché S. E. Luzzatti e S. E. De Seta avevano assicurato, tramite l’ing. Ravà, l’istituzione di una scuola regionale di pesca, che prevedeva degli istruttori tecnico-pratici per l’insegnamento alla classe marinara, la erezione di una apposita scogliera, ossia di un molo, e la fornitura di attrezzature”.
“Il lucido Militerni esprimeva il suo disappunto circa il tentativo di favorire l’arrivo a Cetraro di immigrati: “E allorché sento si vorrebbe favorire nel nostro paese…una qualsiasi colonia d’immigrati, perché trovi nella nostra spiaggia quei fattori industriali che offrono le sterminate e doviziose terre del Fuoco… non posso che restarne grandemente sorpreso…”. “L’industrializzazione del borgo come la intende Cetraro Nova non potrà mai essere il lievito per il pane del nostro proletariato…”.
“La richiesta di Cetraro Nova non rientrava nel progetto del Comitato Veneto Trentino che era corso “in aiuto del nostro indigente per dargli quel tetto che non ha…!”. “E per conto nostro la polemica è chiusa”. “Nel numero successivo del 10 novembre 1910, L’Aurora ci dà informazioni precise sui pescatori apprese dal “delegato di porto, Achille De Caro”. Don Achille, “il riformatore della classe marinara”, intervistato, aveva dichiarato quanto segue: “…i marinai…aspettano con ansia il giorno, in cui, possono andare ad abitare il grazioso borgo e imprendere con amore l’insegnamento pratico della pesca”. La notizia sopra riportata veniva confermata dal dott. Giuseppe Panfili, membro del Comitato esecutivo del Borgo, il quale precisava inoltre che le domande per le abitazioni e quindi per la scuola ascendevano a 47.
Possiamo assicurare il lettore che gli operosi pescatori erano oltre quaranta e formavano cinque o sei ciurme dirette dai capibarca: Francesco Bellomusto, Raffaele Bellomusto, Giuseppe Bellomusto, Picarelli Giovanni, Iozzi Saverio ed altri.
La vitalità della nostra classe marinara e l’incidenza sull’economia del paese si rilevano in modo chiaro da una vertenza daziaria oggetto di un’aspra lite tra il nostro Comune e l’appaltatore Francesco D’Alessandro di Dipignano. Il contratto del Comune con l’agente daziario stabiliva “che il dazio gravitava sull’intero pesce” pescato nella nostra marina ed invece i “nocchieri”, “per sfuggire all’applicazione del dazio locale, eseguivano la vendita del pesce fresco nei Comuni limitrofi”, causando forti danni economici all’agente daziario.
Il D’Alessandro si rivolse al Tribunale di Cosenza contro il nostro Comune e i pescatori furono costretti a un lungo periodo di sciopero, “privando così il paese di pesce fresco, tanto necessario, essendo considerato qui genere di prima necessità”. I rappresentanti del nostro Comune cercarono di mediare e si trovò una risoluzione alla questione. Nella delibera n. 11, del 5 febbraio 1910, è detto che il Comune abbonava all’appaltatore lire seicento su un totale di lire 9025 (ivi compresi altri generi) e come corrispettivo i nocchieri potevano vendere il pesce fresco “in altri Comuni od a rivenditori forestieri” “solo in caso di pesca abbondante”.
Dalle notizie sopra riportate, il lettore si rende conto che Attilio De Caro, in cerca di spazio politico, non diceva il vero quando affermava che, a causa dell’emigrazione, “la nostra classe marinara” costituiva “un piccolo mondo esausto e inerte, di vecchi, di donne e di fanciulli”. Epigoni del De Caro, ancora oggi, sostengono che la classe dei pescatori di Cetraro “si riduceva ormai a pochi elementi attivi”. Lettori, giudicate voi.
Gli ostinati difensori di Cetraro Nova non hanno cambiato parere nemmeno dopo la pubblicazione dell’articolo “21 Agosto 1928: un’impresa che ci interessa”.
Lido Picarelli, utilmente, in detto articolo, pubblicato sul giornalino La Pro Loco, Gennaio – Marzo 2011, riportava il resoconto di una crociera a remi da Torino a Roma, via Po, Adriatico, Jonio, Tirreno, Tevere, con tappa a Cetraro, della Reale Società Canottieri Cerea”: “…alle ore 20,15 – del 21 agosto 1928 – giungiamo a Cetraro. La cui marina non ha altro rifugio che la distesa di spiaggia, sulla quale sono innumerevoli barche da pesca allineate, pronte per il varo che le porterà al lavoro notturno. Vicino ad esse i pescatori accudiscono l’ultima toeletta e le coprono di reti e le forniscono di forti lumi a gas. I ragazzi danno il sego all’incavo delle palanche, il primitivo scalo dove tra poco saranno fatti scivolare, spinti dalle robuste braccia dei giovani ed alla voce del padrone di barca, gli scafi dalla grossa pancia a prova di tempesta.
Questa laboriosa e forte gente si raduna al nostro arrivo in gruppo policromo e caratteristico; dieci mano agguantano, sicure, il capo della sagola che loro gettiamo e sono rapide e precise alla manovra come è loro abitudine: ché nell’agilità e nella sapienza del nodo d’ormeggio spesso è la sicurezza della manovra. Il che rivela la lunga pratica al pericolo che rende pronta e veglia la gente di mare, pur se l’apparenza cela l’agile virtù e l’esteriore scorza dura, propria del marinaio dalla buffa e pesante andatura del corpo quadrato sulle gambe incurvate, andatura ch’è simile al rullio della nave!”.
Le innumerevoli barche da pesca allineate sulla sterminata spiaggia, i numerosi agili pescatori, dotati di lunga pratica, nel 1928, erano sorti dal nulla, forse venuti da Marte. Non ha tutti i torti Tommaso Cesareo quando afferma che Cetraro è un paese strano. Lo rendono strano coloro che rifiutano di accettare la verità. Essi sono una minoranza, ma costituiscono una minoranza rumorosa e potente.
Nel mio lavoro Cetraro e il Tirreno – Storia dei marinari e della pesca (Ferrari editore, 2012, p. 79) confermo, con dati anagrafici alla mano, quanto già altre volte avevo detto, ossia che, nel decennio 1910-19, nel nostro paese, nonostante l’emigrazione verso Montevideo, vi erano oltre 40 pescatori.
“E’ vero che i cetraresi, in quel tempo e per ragioni di lavoro, si recavano in Uruguay, ma con la viva intenzione di restarvi pochi anni e di ritornare in Patria con qualche lira. Ecco i nomi di alcuni nati a Montevideo: Giuseppe Ferraro (1902), di Agostino, pescatore, e di Teresa Bianco; Francesco Ferraro (1903), di Ferdinando pescatore e di Rosa Cosentino; Carmela Piazza (1903) e Lauretta Piazza (1905), di Federico (n. il 1876), pescatore, e di Carmela Bianco; Angelina Iozzi (1906), di Agostino, pescatore, e di Teresa Losardo; Bellomusto Maria (1907- Cetraro 1913), di Michele, pescatore, e di Concetta Tricarico; Michele (1903) e Concetta Ferraro (1906), di Salvatore, pescatore, e di Emilia Esposito.
Tutti i pescatori citati, nel 1907-9, erano già a Cetraro. Mauro Francesco, pescatore, marito di Annina Policicchio e padre di Candida Mauro nata a Montevideo il 1902, ritorna a Cetraro dopo il 1815; forse, aveva effettuato un primo ritorno nel 1907-9. La stessa cosa si può dire per un Agostino Quercia, pescatore, anni 40, nel 1915.
Riporto i nomi di alcuni giovani marinai comparsi, nel decennio 1910-19, davanti all’Ufficiale d’anagrafe come dichiaranti della nascita dei figli o come testimoni: De Pasqua Domenico, De Pasqua Giovanni (anni 41 nel 1910), Maritato Luigi (anni 26 nel 1910), Ferraro Agostino di Angelo (anni 42 nel 1910, anni 40 nel 1911), Esposito Nicola (anni 40 e 42 nel 1910), Iozzi Pasquale (anni 26 e 28 nel 1910), Esposito Salvatore (anni 23 nel 1910), Santamariadimare Domenico (a. 22 nel 1916, anni 32 nel 1919), Bellomusto Leopoldo (padre di una bambina nel 1910), Losardo Giuseppe (anni 24 nel 1910), Bellomusto Francesco (anni 40 e 41 nel 1910), Le Rose Carlo (anni 22 nel 1911), Bellomusto Raffaele (anni 40 nel 1911), Tricarico Salvatore, Maritato Giuseppe (anni 26 nel 1910, anni 24 nel 1911), Tricarico Angelo (anni 32 nel 1911), Piazza Federico ( nato il 1876), Picarella Raffaele (anni 40 nel 1912, anni 51 nel 1915), Antonio Tricarico (anni 26 nel 1912), Occhiuzzi Francesco (anni 38 nel 1912), Bellomusto Salvatore (anni 39 nel 1912), Iozzi Giuseppe (nato il 1887), Salvatore Iozzi (nato il 1890), Uizzi Michele (nato il 1994), Bellomusto Giuseppe (anni 50 nel 1914), Raffaele Maritato (anni 40 nel 1914), Tricarico Serafino (anni 50 nel 1913), Ferraro Agostino fu Giovanni (anni 50 nel 1914 e nel 1916), Ferraro Angelo (anni 50 nel 1914), Picarella Filippo (anni 43 nel 1916), De Pasqua Antonio (anni 27 nel 1916), Esposito Giuseppe Benedetto, Picarella Angelo (anni 40 nel 1918), Bellomusto Pasquale (anni 51 nel 1818), Tricarico Benedetto (anni 52 nel 1915), Esposito Angelo (anni 30 nel 1818), Iozzi Saverio (nato il 1962), Picarelli Biase (anni 36 nel 1919), Bellomusto Francesco (anni 33 nel 1819), Mauro Francesco (anni 32 nel 1915), Ferraro Salvatore, Martilotta Angelo (anni 33 nel 1920), Esposito Ronzino (anni 40 nel 1920), Maritato Vito, Giuseppe Picarelli, Buglione Ercole, Portadibasso Ciro, Portadibasso Giuseppe, Portadibasso Francesco, Salineto Raffaele, Esposito Ferdinando, Esposito Angelo (anni 30 nel 1918), Cosentino Giovanni, Maritato Ciro, Eugenio Bellomusto, Eugenio Savonese, Vincenzo Tricarico, Donadio Aldo.
Ecco i nomi dei pescatori, nello stesso periodo, con età superiore ad anni 50: Tricarico Fedele (anni 68 nel 1911), Martilotta Angelo (anni 66 nel 1911, anni 70 nel 1915), Pepe Antonio (anni 66 nel 1910, anni 62 nel 1911), Tricarico Serafino (anni 53 nel 1911), De Pasqua Giuseppe (anni 65 nel 1911), Esposito Luigi (anni 70 nel 1911, anni 60 nel 1917), Ferraro Angelo (anni 70 nel 1911), Iozzi Raffaele (anni 81 nel 1912), Bellomusto Giuseppe (anni 62 nel 1913, anni 66 nel 1918), Picarelli Giovanni (anni 53 nel 1913), Ferraro Angelo (anni 50 nel 1914), Bellomusto Serafino (morto il 1914, anni 76), Tricarico Giovanni (anni 72 nel 1914), Bellomusto Antonio (anni 70 nel 1914), Francesco Ferraro (anni 70 nel 1915), Martilotta Agostino (anni 60 e 62 nel 1916, anni 66 nel 1917), Cosentino Giuseppe (anni 60 nel 1916), Bellomusto Luigi (anni 85 nel 1917), Ferraro Benedetto (anni 88 nel 1917), Bufanio Giovanni (anni 60 nel 1917), Bellomusto Angelo (anni 74 nel 1918), Martilotta Serafino (anni 89 nel 1919), De Pasqua Filippo (anni 80 nel 1919), Bellomusto Pasquale (anni 60 nel 1919), Bianco Vincenzo.
Negli Anni Quaranta, ho conosciuto, direttamente o indirettamente, molti vecchi pescatori, giovanissimi nel 1910. Inoltre, da mia madre Piazza Carmela, nata a Montevideo il 1903, avevo appreso che, mentre il borgo era in costruzione, la sua famiglia, assieme ad altre famiglie cetraresi, era ritornata dall’America. Ho cercato disperatamente di far luce su quella vicenda, ma i risultati delle mie ricerche, basati su documenti inoppugnabili, non sono piaciuti agli epigoni di Cetraro Nova, successori politici dei vecchi comandanti, e così, in occasione dei festeggiamenti del centenario (2011) della nascita del villaggio, chi scrive – come ho precisato sul blog Rosso Cetraro, nel 2012 – non è stato invitato. Il sindaco e i suoi assessori, forse, non volevano un dibattito aperto e democratico, dal quale uscisse ancora più forte la verità storica.
IV parte
Gentilissimo lettore, credo di averti fornito tutti gli elementi per giudicare; come cetrarese o come abitante in Cetraro hai avuto modo di ascoltare i relatori del convegno sul centenario della nascita del Borgo S. Marco e pertanto sei nelle condizioni di poter stabilire se in quella occasione siano state apportate aggiunte a quanto già risultava dalle mie ricerche sulla nascita del Borgo. Se non hai avuto modo di partecipare a quel convegno, puoi consultare il resoconto, pubblicato dal giornalino della Pro Loco, e fare le tue considerazioni.
Se non ho detto il vero, è giusto e sacrosanto che tu me lo faccia rilevare. Se io tacessi, non segnalando i torti ricevuti, equivarrebbe a dire, a chi non ha mai messo piede in un archivio, di considerarsi un ricercatore e di ritenermi un pavido, un debole. Cetraro è pieno di talenti, di grandi e colti memorialisti, ma i veri ricercatori sono rari. Da parte mia, ho sempre cercato il nuovo, il non noto e mi servo dei documenti, non delle ricerche altri.
Il Borgo, come ho già detto, è sorto su “m.q. 22.220 di arenili in contrada Porticello – acquistati dal Comune – per essere ceduti, successivamente, al Comitato Pro Calabria Veneto – Trentino”.
I detti arenili iniziavano dalla proprietà di Marini Cesare (padre dell’avv. Pietro Marini) e finivano alla “proprietà coltivata” di Martini Luigi. In particolare, gli acquisti riguardavano:
M.q. 9620 d’arenili dal Signor Sandelli Sampiero alla ragione di lire 0,15 al m.q. e quindi per la somma di lire 1443, 00;
m.q. 4800 dal Sig. De Caro Eduardo alla ragione di lire 0,40 al m.q. e quindi per l’importo di lire millenovecentoventi. Il Comune s’impegnava a costruirgli, nella parte del terreno non ceduto, la casetta già esistente.
M.q. 7800 dal Sig. Cav. Giovanni Giordanelli corrispondendo a questi la somma di lire milleottocentocinquanta e assumendo l’obbligo del pagamento della restante somma di lire duemilaseicentosettantaquattro tuttora dovuta al demanio per quota arretrata.
I tre proprietari citati cedettero i loro arenili a condizione che venissero compensati dai proprietari degli arenili posti a nord (Eboli) e a Sud (Reggio) del progettato villaggio. I proprietari degli arenili non occupati dalle parte d’Eboli erano Ricucci Salvatore, Del Trono Raffaele e Panfili Giuseppe; i proprietari verso Reggio erano De Caro Gennaro e Martini Luigi.
Sampiero Sandelli (Santelli) viveva a Cetraro da molto tempo e nel 1892 aveva sposato la signorina Ausonia Casareto. Egli aveva fondato, in Cetraro, assieme a 12 compagni, una “ grande fabbrica e stabilimento di mattoni, mattonelle, cementi, legnani, calce, tegole”. Sua era anche la fornace situata nel lato mare dell’attuale palazzo Lucibello. Santelli, successivamente, ebbe un arenile dopo il torrente S. Giacomo e la località, con una bella villa, ancora nel 1950 veniva chiamata “Sandella”. L’impresa del Santelli cominciò a decadere dopo la morte, sul fronte austriaco, dell’ufficiale Ugo Santelli. Negli atti di morte è scritto: “L’anno 1915 ed allì venti del mese di novembre nell’Ospedaletto da campo 110 in Quisca (Gorizia) mancava ai vivi,…in età d’anni diciannove, il Sottotenente Santelli Ugo…, nativo di Cetraro,… figlio Sampiero e di Ausonia Casareto…”.
Nel 1909 Donati Giuseppe (don Peppe), a. 21, operaio cementista, domiciliato a Faenza, addetto alla costruzione del Borgo, sposava Fani Mariuccia (Marianna?). Nel maggio del 1910 alla Marina di Cetraro si “festeggiò con ballo e misica, e con offerta di dolci e liquori, il battesimo” della graziosa e bella neonata Ester, figlia del capostazione Tranvaglia” (L’Aurora). Nel 1913, moriva nel Borgo, Borsa Giuseppe, operaio, a. 19, nato a Turano (Milano). Nello stesso anno, nella contrada Marina, moriva di giorni tre Fani Giuseppe, figlio di Felice, calzolaio, e di Guida Assunta. Nel 1918, nella sua casa del Borgo, moriva Sirimarco Maria Giuseppa, a. 58, nata Sant’Agata D’Esaro, del fu Beniamino e della fu Martorelli Cecilia, moglie di Carlo Cesareo, possidente.
Da una relazione del consigliere comunale Agostino Quercia (Arora), illustrata durante l’adunanza n. 264, del 29 dicembre 1920, risulta che il Borgo, nato da circa dieci anni, era lasciato “in uno stato di abbandono”. Due anni dopo, ossia il 1922, le autorità comunali candidamente ammettevano che le palazzine del Borgo si andavano “sempre più deteriorando”.
Intanto, il Consiglio, con una delibera del 18 luglio 1822, approvava l’impianto di illuminazione elettrica nella frazione Borgo marinaro per una potenza di 750 candele, la cui energia doveva essere fornita dalla ditta Favretto.
Dalla delibera n. 383, dell’otto ottobre 1922, si apprende che erano sorte tante case “intorno al Borgo” e che il nuovo villaggio, a causa del crescente traffico, andava sempre più “rifiorendo di folta popolazione di lavoratori” e che ciò nonostante, per ragioni di economia, lo Stato aveva soppresso la “seconda scuola” istituita due anni prima. Dalla stessa delibera, si evince che gli alunni erano più di settanta e da iscriversi “a quattro classi”. Il Consiglio, presieduto dal sindaco Giuseppe De Caro, deliberava di pregare, tramite una istanza, la benemerita Opera Nazionale contro l’analfabetismo perché, con generoso atto, assegnasse ad una maestra del luogo le soppresse due classi. Le autorità comunali segnalavano, come maestra, la signorina Fedora Coppola, cugina della titolare Maestra del Borgo (la figlia del De Giacomo).
Il Consiglio comunale, con il solo voto contrario del settentrionale Luciano Ghezzi (padre dei barbieri Rocco, Trieste e Amerigo), autorizzava, nell’adunanza del 10 ottobre 1922, il giovane sindaco Giuseppe De Caro (1892 – 1959), uomo schivo e riservato, a “vendere le indicate palazzine ed il fabbricato di proprietà del Comune, adibito a scuole comunali”, con la motivazione che erano “di scarsissimo rendimento per il Comune”. Veniva, altresì, precisato che il ricavato doveva essere destinato all’acquisto di cartelle del debito pubblico, la cui rendita doveva essere vincolata al pagamento delle rate di ammortamento dei mutui già richiesti per la costruzione degli edifici scolastici e la sistemazione dell’acquedotto. Non venne costruito alcun edificio scolastico e né venne costruita la casa del marinaio.
La decisione sopra riportata, in assenza del disciolto Consiglio comunale, veniva confermata, con delibera n. 430, il 18 ottobre 1923, dal Regio Commissario straordinario, rag. Giovanni Pezzella. Il nuovo Commissario prefettizio Ciro Del Trono, constatato che il servizio relativo all’Amministrazione del Borgo” si era dimostrato “molto deficiente e difettoso, il 30-5-1924, nominava amministratore del Borgo il prof. Giovanni De Giacomo, affinché vigilasse sul buono andamento delle case del Borgo, curandone, nei limiti del possibile, la nettezza e la buona manutenzione e denunciandone i casi di subaffitto. Nella delibera n. 498, del 18 agosto 1925, si parla della necessità di riparare il tetto di ogni palazzina, perché quello esistente, fatto ad astrico a cemento, rendeva le palazzine dei veri forni crematori.
Il citato Commissario procedeva agli atti finali della vendita delle palazzine; dopo due aste pubbliche andate deserte, il 2 ottobre 1925 deliberava “di porre in vendita le palazzine del Borgo marinaro a licitazione privata su la base di lire 16.000 per ciascuna delle quattro palazzine site sulla piazza e di lire 15.000 per le altre (quattordici)”.
Gli amministratori comunali, che, per ragioni di bilancio, presero l’iniziativa di vendere le palazzine del Borgo S. Marco, si resero responsabili di un atto grave sotto l’aspetto puramente morale. E’ significativo, a riguardo, l’opposizione nel 1926, oltre che dei cittadini, di quattro consiglieri comunali (dottor Leopoldo Giordanelli, Achille Occhiuzzi, Francesco Occhiuzzi e Agostino Picarelli), i quali, memori dello spirito che aveva animato il Comitato, nonché i cetraresi Ferdinando De Caro e Giovanni Giordanelli, facevano giustamente rilevare, al Commissario prefettizio (Podestà) Cirò del Trono ( 1900-1987), come tale vendita, a determinati prezzi e condizioni, non avrebbe favorito l’acquisto di una casa da parte del povero.
Secondo il De Giacomo (Athena Calabra), l’iniziativa che portò all’edificazione del Borgo fu un “nobile proposito”. Sempre a parere dello storico cetrarese, la vicenda del Borgo, a meno di un lustro dal terremoto del 1905, si rivelò “un insuccesso”, perché il nobile fine non fu “raggiunto”. Egli ci dà la spiegazione di tale insuccesso là dove, uscendo dal generico e rifacendosi a discorsi allora noti a tutti, affermava: Si disse che “mutate circostanze” fecero “mancare lo scopo nobilissimo” “per il quale il Borgo era stato edificato (eran, forse, scomparsi tutti i bisognosi…?)”. Il De Giacomo alludeva a Cetraro Nova, che nel n. 4 del 29 maggio 1910, aveva sostenuto che il marinaio ormai aveva raggiunto un livello sociale relativamente discreto da possedere case migliori di tanti altri cittadini.
Da una delibera del 9 agosto 1926 risultano i primi acquirenti delle palazzine e tra essi figurano il signor prof. Giovanni De Giacomo, Marsico Elisa di Salvatore e il sig. Vincenzo Cesareo.
Nel 1933 muore Fani Giuseppe, fu Leonzio, a. 84, nato a Tortoreto Nerito (Teramo), ferroviere.
Per opera del prof. Benedetto De Caro, alla Marina di Cetraro nasceva la “Clinica Medico – Chirurgica con annessa casa di cure autorizzata con Decreto del 20 nov. 1936”. In un opuscolo è detto: “…in detto Istituto vengono, a turni domenicali, ben quattordici Professori Specialisti della R. Università di Napoli, i quali con tariffa decorosa al loro grado professionale, danno consultazioni a chiunque creda e voglia presentarsi nello Istituto”.
Fino al 1950, gli abitanti del Borgo, nonostante gli importanti negozi di Caldiero, di Lucibello, di Siani, di Donati, di una rivendita di Sali e Tabacchi della famiglia Fani, di alcune falegnamerie e di una trattoria, gravitavano attorno al centro storico. Il Borgo si animava, acquistando particolare vivacità, quando i pescatori, per ragioni di lavoro, scendevano alla Marina o al loro rientro con le loro barche dopo la pesca.
Dispongo di tutti gli articoli dello Statuto, della relazione del Cav. Giovanni Giordanelli, della storia della clinica Benedetto De Caro e di molti altri atti e documenti riguardanti i marinai. Sono a disposizione per eventuali chiarimenti.