La fortuna quotidiana della signora Rosa

Il caffè non è gran che, e la minerale così ghiaccia da farti allegare i denti; in compenso, al baretto ci si può sedere un poco, e sfogliare in santa pace due giornali.

Non fosse che la signora Rosa, grassa e tinta, non levi il suo sedere dalla seggiola per recarsi, a intermittenza, col suo passo di gallina (forse un callo) alla sonora macchinetta che mi sta da presso.

Ella è una delle tante sciamannate – madri pure di famiglia – che spendono quel tanto che il marito porta a casa, infilandolo ogni giorno nelle slot-machines.

Di quest’andazzo lasso e pervertito, s’è accorto pure il parroco; che al sermone di domenica – senza scendere in dettaglio ma guardando tra la folla come un’aquila – tuona contro il losco affare, appannando trafelato le sue lenti.

Ma la signora Rosa è oramai un’habitué di questo giuoco: e pur di scialacquare una decina d’euro quotidiani, fa la cresta sulla spesa: prendendo un cavolo ingiallito all’ortolano e scatole di tonno coreano.

Del suo vizio giornaliero ha stabilito, anzi, una sorta di rituale; che forse, chissà, serve a reprimere quella certa depressione che le danno una figlia separata dal marito ed il maschio ch’entra ed esce di prigione (droga ed annessi).

Ella, infatti, certe volte, s’alza di colpo risoluta: per andare, verso l’ordigno ingoiasoldi, come avvertisse un’intima chiamata (il paragnosta Emidio o padre Pio, non si sa).

Cert’altre, esce fuori sull’ingresso, come in cerca di qualcosa o di qualcuno; per poi precipitarsi, di filato, verso la slot-machine: ed allora la sento digitare, imbufalita, sopra i tasti colorati; fin tanto da attirare lo sguardo indagatore del gestore del locale: che ne ha cura (della macchina) come d’una di famiglia.

Talora, infine, è come se avvertisse tra gli astanti, che trangugiano caffè e cappuccini, una presenza infausta: e s’attarda, la volpona, un poco a leggere qualche riga di giornale: in attesa che il sinistro menagramo sortisca dal locale e lei possa dedicarsi con passione a quel giro di fortuna che aspetta senza smania.

Occorre dire che, ogni tanto, uno scroscio di denari le porta fuori una bestemmia soddisfatta: fa un fagotto veloce del peculio guadagnato e lo para sopra il banco: sorvegliando che il gestore lo converta in più seri bigliettoni.

L’esercente l’accontenta; e le fa pure i complimenti, offrendole di suo un’anisetta.

Ma si capisce, dal suo sguardo, che la vittoria occasionale della signora Rosa, la consideri, in sostanza, una vittoria di Pirro (posto che sappia chi sia Pirro).

‘Godi oggi, ché hai un mese poi per piangere’ – deve pensare quel furbo di tre cotte, mentre passa la spugna sopra il banco.

Ma la signora Rosa, almeno quella volta, se n’esce soddisfatta: ha incontrato la fortuna e pensa di preparare, per il pranzo, un po’ di tortellini e lesso di vitello: ch’era tanto, che non se ne mangiava!