Chiunque acquisti un libro autobiografico di un calciatore o lo fa perché è un assoluto cultore della persone fisica o perché è un appassionato di calcio e vuole scoprire retroscena che normalmente sarebbero celati agli occhi delle telecamere e dei cronisti. In poche parole, la biografia di un calciatore dovrebbe servire per scoprire “l’altro mondo del calcio”. Quel mondo che, normalmente, è racchiuso dietro silenzi stampa e frasi fatte.
L’uscita di Io, Ibra, ancor prima della sua apparizione in libreria, ha fatto molto discutere, in quanto, già nelle prime pagine, si parla di Guardiola, allenatore del Barcellona, che Ibra descrive come un “coniglio”, come “senza palle”, un “codardo”. Continuando, la voce narrante racconta di un episodio in cui Ibra, spinto dall’ira, risponde in malo modo al suo mister davanti a tutti – compagni di squadra compresi – senza che Guardiola trovi il coraggio di replicare alle sue parole.
Le premesse ci sono, quindi, e Ibra ci racconta fatti inediti che parlano dell’esperienza con la squadra catalana: un fallimento in termini di milioni (per il Barcellona), ma non di goal. Man mano che si va avanti, però, il libro non aggiunge nulla di nuovo, e chi ha seguito il calcio negli ultimi anni lo troverà, in certi punti, quasi noioso.
Dal testo, scritto in prima persona, la cosa che più emerge è la forte personalità del protagonista. Per il resto, sono solo sfumature e quello che si intuisce è che Ibra è venuto dal Bronx di Malmoe, una piccola squadretta, arrivando in alto con grinta e sudore. In altre parole, si vuol mostrare l’immagine vincente di Zlatan Ibrahimovic.
Nelle pagine successive si parla delle liti con Mihajlovic e Vieira, del contrasto con Onyewu e dell’amicizia con Maxwell. Si parla di Messi e di tutti i giocatori del Barcellona, che non esita a definire “scolaretti”.
Il volume continua con Cassano e Robinho e con le invidie di Van der Vaart ai tempi dell’Ajax. Poi, si passa agli allenatori. Dopo Guardiola, Capello, che fa rabbrividire appena ti passa accanto, ma che è un grande mister; Mourinho, definito un amico; Mancini che è solo un fighetto; Van Gaal che è un gran “rompipalle”; e infine, Allegri che “sembra bravo”.
Ibra parla anche di calciopoli, e racconta che Moggi con il suo sigaro inondava la stanza di pianto; parla di Galliani, un grande nelle trattative; di Raiola ciccione, mafioso ed amico.
In definiva, l’impressione è che l’autore, David Lagercrantz, abbia preso molto più spunto dalla TV e dai giornali che dai racconti dello stesso calciatore svedese. Chi ha seguito il calcio negli ultimi anni sa più o meno tutto, al punto che molte pagine possono definirsi inutili…
In sostanza, Io, Ibra è un libro che poteva essere un gran bel testo, visto il personaggio, ma che, per com’è stato confezionato, è da consigliare solo agli amanti del calcio.
Buona lettura