Il figlio di Renato Zero maltrattava moglie e figlie

Il figlio adottivo di Renato Zero Roberto Anselmo Fiacchini è stato accusato di maltrattamenti e vessazioni psicologiche e fisiche nei confronti della moglie Maria Emanuela Vernaglia  e delle due figlie minori.

Per  tali comportamenti aggressivi – protrattasi da settembre 2012  a aprile 2013 il gip Carmine Castaldo, su esplicita richiesta della procura, ha ritenuto opportuno applicare la misura dell’allontanamento dall’ abitazione coniugale.

.Il quarant’enne dovrà versare in oltre 2000 Euro al mese, necessari per il mantenimento di consorte e prole.

La coppia convolata a nozze nel 2004, per poi separarsi nel 2010 e riprendere di nuovo la relazione l’anno seguente, che sfortunatamente si interruppe nuovamente per i maltrattamenti perpetrati da Fiacchini.

La moglie allora, si rivolse alla magistratura per denunciare «la minacciosa, abituale e violenta condotta» tenuta dal figlio di Zero  «soggetto a frequenti scoppi d’ira ai danni propri e in presenza delle figlie conviventi che spesso si spaventavano» per l’atteggiamento del padre.

Per il gip Castaldo «i maltrattamenti sono iniziati nel settembre dello scorso anno, attraverso continue, perduranti e reiterate vessazioni di ordine psicologico e fisico, rendendo penosa e intollerabile la convivenza alla moglie».

Nell’ordinanza si evince come «sussista un concreto pericolo di recidiva avuto riguardo alla personalità dell’indagato, soggetto di indole irascibile con pulsioni violente che è solito maltrattare tutti i propri familiari creando un clima di forte apprensione se non di vera e propria paura all’interno delle mura domestiche». L’abbandono del tetto coniugale sembra quindi, «la cautela minima che consente di interrompere l’attività delittuosa».

Nell’ordinanza si evince come «sussista un concreto pericolo di recidiva avuto riguardo alla personalità dell’indagato, soggetto di indole irascibile con pulsioni violente che è solito maltrattare tutti i propri familiari creando un clima di forte apprensione se non di vera e propria paura all’interno delle mura domestiche». L’abbandono del tetto coniugale sembra quindi, «la cautela minima che consente di interrompere l’attività delittuosa».