Lo vedevi entrare in casa, curvo come Atlante; solo che, al posto del globo, lui portava sulle spalle la bombola del gas. Perché di bombole Giannino ne ha portate, in vita sua; e faceva il suo mestiere con coscienza.
Smontato il carico in cucina, dove s’era già diretto per antica consuetudine, tirava fuori, dalla tasca retrostante, la sua chiave da sedici; e cominciava, senza meno, a smontare la bombola vacante.
Quindi, da un rosario, che teneva, di guarnizioni in gomma, ne sgranava una nuova. Se obiettavi che l’altra poteva ancora andare bene; lui non si scomponeva più di tanto. Rizzandosi solo un poco, scopriva i denti bianchi in un sorriso; borbottando qualche cosa che voleva forse dire: “Lascia fare a me, che il mestiere lo conosco…”.
Data una stretta ultima di certa garanzia, segnalata da un uh! che gli usciva di gola soddisfatto, prima di dare requie alla bombola, nel vano aperto che attendeva, tentava ancora qualche altro esperimento.
Svitata la manopola d’arresto, annusava lui per primo, e voleva che anche tu lo facessi, l’imbocco del flessibile: avvitare bombole è una questione di fiducia e la fiducia va apprezzata (e magari pure compensata con qualche cenno di consenso).
Veniva, infine, ultima la prova del nove. Cavato fuori un prospero, l’accendeva temerario sopra il gruppo d’attacco: per accertare che di gas non ne fuoriuscisse neanche un alito.
Fortuna che Giannino le sue bombole le avvitava sempre bene, (Dio lo porti in gloria), altrimenti ne sarebbe conseguita una catastrofe.
Compensi extra, non ne ha mai voluti: il suo mandato era franco di consegna, e lui non era il tipo da farci sopra la cresta. Certo, se gli offrivi (di buon cuore, s’intende) un bicchieruccio, non si tirava indietro. E mandatolo giù d’un fiato, si piantava sulla schiena la bombola vacante e via lesto per la strada: pronto alle consegne di giornata.
Un tempo, le consegne erano tante: non c’erano ancora le cisterne domestiche di oggi.
E Giannino fu dotato, a un certo punto, d’un ingegnoso triciclo; che aveva, sul davanti, una specie di cassone, sempre colmo di bombole. Quando scorreva Via De Seta, pedalava gongolando; salutato, al suo passaggio, da amici e conoscenti che ne incoraggiavano l’andatura, come fosse stato Adorni all’ultimo Giro d’Italia. Ma Cetraro è un irto colle; ed il Giro di Giannino non s’arrischiava oltre il circuito di San Benedetto-Via Roma: trovando il suo traguardo alla farmacia del Gallo.
La sua passione vera, però, non era tanto il ciclismo quanto il calcio: o, per meglio dire, la Juventus, di cui era un tifoso sfegatato. Quando aveva tra le mani il Corriere dello Sport sorvolava sugli articoli, che non sapeva manco leggere, ed andava cogli occhi alla ricerca delle immagini: il testone d’Omar Sivori, una sforbiciata di Nicolè, lo mandavano veloce in visibilio.
Ed a proposito di calcio, si narra di lui una storia, che ha del leggendario.
Pare che durante una trasferta della Juve in Sicilia, Giannino si sia trovato, come il cacio sui maccheroni, alla stazione di Paola. Ed intravisto, dal finestrino d’una carrozza, Giampiero Boniperti; non abbia esitato a chiedergli, se la Juve quell’anno avrebbe vinto il campionato.
Com’è, come non è, si dice che Boniperti, alla domanda secca di Giannino, abbia risposto salomonico: “Ammacardìu!”
Prese moglie in tarda età e si trasferì a Cosenza. E lì m’avvenne, una sera, di trovarlo, nell’androne d’un palazzo.
Gli occhi appesantiti ed i capelli brizzolati, mi disse che faceva il portiere a mezzo servizio. Il mensile era discreto ed un sorriso franco gli illuminava ancora il viso.
Ma vuoi mettere andare in giro per Cetraro ed entrare nelle case della gente: era tutta un’altra cosa!