È questa la riflessione, o meglio l’appello, pubblicato da Pasquale Motta, direttore di LaCNews24.it e moderatore dell’ultima edizione del Premio Internazionale Giovanni Losardo, svoltasi a Cetraro lo scorso 20 giugno e di cui abbiamo pubblicato diverse foto.
«È passato qualche giorno dalla celebrazione della XIII edizione del Premio internazionale Losardo – scrive Motta – e non nascondo che presentarlo mi ha prodotto una serie di emozioni, la vicenda di Losardo, ma anche l’assassinio di Beppe Valarioti a Rosarno caratterizzarono molto le mie scelte di vita negli anni successivi a quei tragici eventi.
Fu a Cetraro che, per la prima volta, ebbi modo di assistere a un comizio di Enrico Berlinguer. Giovanni Losardo, dirigente e amministratore del PCI, funzionario di Giustizia, veniva trucidato 35 anni or sono, quella data ad oggi, in mezzo ci furono inchieste, processi, interrogativi ancora aperti, letteratura giornalistica, tanti ipotesi, prese di posizione, alcune in buona fede altre meno».
«Gli assassini di Losardo sul piano giudiziario – continua – non hanno un nome, non c’è una verità giudiziaria. Tuttavia, “la verità si trova dentro un’area ristretta e sicura, ma l’errore è immenso” scriveva un politico e scrittore inglese sul finire del ‘600, una frase che calza a pennello per la storia di Losardo.
Non c’è bisogno di verità giudiziarie per sapere e avere consapevolezza che, Losardo, è stato fermato perché dava fastidio. La sua sete di legalità, il suo rigore morale, le sue convinzioni politiche, le battaglie a favore del suo territorio disturbavano. E a chi dava fastidio Losardo, se non a coloro che, questo territorio intendevano soggiogarlo ai loro traffici, alla loro prepotenza, alla loro legge?
Dunque, aveva ragione Bolingbroke, sulla ristrettezza dell’area della verità. Certo, purtroppo, oggi gli assassini sono ancora liberi, circolano per Cetraro, ma la verità è ormai nota, il resto sono dispute, come spesso avviene quando si parla di lotta alla ‘ndrangheta, soprattutto in relazione a delitti eccellenti.
Infatti, spesso si creano dispute ad arte con l’obiettivo di allentare la tensione morale e civile intorno alle battaglie antimafia».
«Pubblio Sirio sosteneva che “in mezzo alle troppe dispute, la verità, si disperde”. Ecco, il vero rischio era ed è, quello di disperdere Il grande patrimonio di battaglie, l’esempio di vita, di Giovanni Losardo.
Il rischio era quello che, quella morte, quel delitto, potesse perdere di senso. Ma soprattutto, il rischio era ed è, come tutto il patrimonio di valori, ideali e rigore morale, potesse essere trasmesso alle nuove generazioni.
Il Premio Losardo nasce con l’intento di tutelare e alimentare tutto questo, e fino ad oggi ci è riuscito benissimo».
«A Gaetano Bencivinni, anima e animatore del Premio, va dato il merito di aver alimentato quella sete di legalità e di cultura, che proveniva dal profilo di Giannino Losardo, lo ha fatto dall’alto del suo prestigio di Testimone di quell’epoca, nella quale aveva vissuto e operato Losardo e, lo ha fatto, anche con una sensibilità culturale proiettata al futuro, diversificando l’offerta e la ricerca, allargando il suo sguardo alle arti, alla pittura, al cinema, alla letteratura, al giornalismo culturale.
A supportarlo una giuria di altissimo livello: Arcangelo Badolati, Filippo Veltri, Fernando Caldiero, Francesca Villani, Pino Arlacchi e la supervisione colta, intelligente, suggestiva di Raffaele Losardo, figlio di Giannino.
Il Premio Losardo, dunque, va preservato, tutelato e sostenuto dalle istituzioni e dalla società civile, deve diventare sempre di più patrimonio culturale calabrese e nazionale. È necessario che, il Premio, acquisisca sempre di più il ruolo di ambasciatore culturale della buona Calabria nel paese e nel mondo».
«Il Premio Losardo – conclude – fiorisce sul sangue di un eroe e sul valore nel quale forse più di ogni altro credeva Giannino Losardo, la cultura, la migliore arma contro tutte le mafie e contro ogni forma di sopraffazione. Da questo assunto e con questo obiettivo nasce, vive e vivrà, il Laboratorio Losardo, un laboratorio che ha messo al centro un concetto dalla delicatezza filosofica ma dalla forza dirompente: “la bellezza della legalità”».