Riporto, opportunamente corretto, un mio articolo pubblicato nel dicembre 2005 sul periodico “Nuova Comunità”. Esso riguarda una fortezza i cui lavori furono iniziati nel 1490. Detta fortezza, probabilmente, è da identificare in una torretta, sita sulla parte finale del costone roccioso che parte dalla località S. Francesco e arriva al mare. Nel cinquecento, detta roccia, bagnata dal mare, formava la Petra o Punta di S. Maria di Mare. La torretta, da oltre un secolo, è “incorporata in un fabbricato rurale” e ne parla anche il Tripicchio facendola però risalire ad una epoca posteriore.
All’inizio degli anni Ottanta, dopo aver pubblicato alcuni lavori storici, ero convinto che Cetraro nel Trecento avesse le sue fortezze per far fronte agli attacchi che venivano dal mare. Tale convinzione nasceva dall’esame di un documento (a. 1377), in cui si parla di “torre e fortilizio”, e dalla conoscenza indiretta o diretta dei resti di due torrette a mezza luna, la “Turricella” (demolita attorno al 1912) e il “Cannone”. La Torre e il fortilizio, quasi certamente, sono stati edificati o restaurati o temporaneamente riattivati dopo il 1327.
Tutte le guerre marittime del basso Tirreno hanno coinvolto la nostra città e la nostra università, fin dal periodo degli Angioini, fu costretta a fornire una galea all’anno per l’armamento del Regno. La stessa cosa fu imposta alle città marittime più importanti: Amantea, Cotrone, Nicotera, Scalea, Tropea.
La prudenza e l’intuito portarono Carlo I D’Angiò ad armare molte galee, ma ciò non fu sufficiente ad impedire che Cetraro ed altri paesi della nostra costa, durante la guerra del Vespro, ossia dell’anno 1285, passassero agli Aragonesi. Inoltre, nel 1288 Cetraro accolse lietamente re Giacomo d’Aragona sbarcato sul Tirreno Cosentino. A riguardo riporto il commento di Giovanni Fiore: Nelle guerre del Regno, come Abitazione posta su ‘l Mare, – Cetraro – ebbe a sostenere molti assalti, non così l’anno 1288, quando passandovi il Rè Gaime, nel viaggio da Catanzaro a Gaeta, se gli diè volontario, senza la violenza delle armi: così come fecero altri luoghi convicini, giusta il rapporto del Buonfiglio”.
Nella resa agli Aragonesi ebbero parte importante la crisi economica e la mancanza di grano. Inoltre, le precarie difese di Cetraro non consigliavano di opporre resistenza. Il nostro paese rimase circa tredici anni sotto gli uomini dell’Ammiraglio Ruggiero di Lauria. Negli anni 1291-92, Carlo II, nominò capitano di Cetraro, Rogerio de Iudetta, il quale subito si accinse a liberare la nostra città dagli amolgaveri, soldati al servizio degli Aragonesi. Infatti è sicura la notizia che nel 1298 l’abate di Montecassino Gelardo concesse a Iudetta un mulino nella località di Cetraro, perché aveva liberato quella città dai nemici.
Purtroppo, il Re e i suoi successori non si preoccuparono di costruire delle difese ed inevitabilmente la questione delle fortificazioni emergeva, in tutta la sua gravità, soltanto nei momenti di pericolo. La caduta della Sicilia sotto gli Aragonesi non faceva dormire sonni tranquilli agli ammiragli dalla flotta angioina come dimostra la notizia riportata nell’opera del Minasi: “…nel 1327 (26 ottobre) Ademario Romano di Scalea vice ammiraglio del regno, ritornando a Napoli dalla Calabria con l’armata navale, informava re Roberto che le mura e le fortificazioni di Reggio, di Bagnara, di Crotone, di S. Niceto. di Cetraro, di Calanna e di altre terre marittime avevano bisogno urgente di riparazioni, essendo modico freto distante dall’isola ribelle. Tosto Roberto ordinava a Guido di Scalea, suo ciambellano, di fortificare e di munire quelle città, terre e castella, affinché potessero resistere agli assalti del nemico”.
La situazione non cambiò molto per il nostro paese e abbiamo motivo di credere che dopo il 1387 crebbero l’insicurezza e la precarietà, perché, in quell’anno, il re Ladislao commise l’imprudenza di concedere all’abate di Montecassino la facoltà di nominare, a proprio arbitrio, i capitani per la giustizia e la guerra nella terra e distretto di Cetraro. La presenza di un capitano di nomina abbaziale indeboliva e non rafforzava la figura dell’addetto alla giustizia e alla guerra. Basta dire che il paese divenne il rifugio di tanti delinquenti.
(…) Nel 1487 s’incominciò a parlare di proponimenti di Carlo VIII per la conquista del regno di Napoli e si indicava la terra di Pizzo come luogo di uno sbarco. Il re Ferdinando I si ricordò del nostro paese e cercò di rimediare ad una situazione non certo rassicurante, invitando Luigi Loffredo a compilare e a trasmettergli un progetto per l’erezione di un castello alla marina di Cetraro.: “Lo Citraro, come sapite, è terra de importantia et de marina et senza alcuna fortezza. Havemo deliberato farcene una. Per tanto sarrite con lo magnifico M. Diego Vela, et in virtù delle littere credenziali li dirrite che se confiresca personalmente al Citraro, et proveda lo loco più atto, la dispesa, et omne altra cosa necessaria per fare una fortezza conveniente alla terra, et ne avvise distintamente, et ne mande lo disegno de lo loco, de la spesa et del tempo (che) ce vorrà per ponerla in fortezza. Et fate (che) vada subbito, acciò che, visto lo disegno et avuto lo avviso, possiamo deliberare quello (che) se haverà da fare per Stato et servitio nostro. Tutte le cose predecte comunicarite con lo illustrissimo Don Pietro nostro Nepote et figlio, acciocché con l’auttorità et consiglio suo le possate meglio disporre et reducere allo effecto predicto secondo lo desiderio nostro, tenendone particolarmente avvisati da passo in passo de quanto farrite. Datum in Castello novo Neapolis 27 Januarij 1487. Rex Ferdinandus. Segretarius Abbas Rugius”.
Diego Vela, il commissario per le fortezze del principe di Bisignano, fece elaborare il progetto e indicare la spesa di seicento ducati, ma non partecipò alla esecuzione dei lavori. In data 2 dicembre 1490, come risulta da una lettera inviata da Cetraro, iniziò la pratica per l’esecuzione dei lavori. Il commissario addetto alla costruzione della torre (castello regio) di Cetraro figura un certo Iuliano Vulcano: “Magnifici Vincilai de Campitello super consignandis ducati DC (600) Iuliano Vulcano. Misser Baptista. Perché a la fabrica del castello de Rigio bisognano dinari, ad omne requesta de Iuliano Vulcano, commissario in dicta fabrica deputato, o de chi ipso manderà, li assigneriti sey cento ducati, per quelli dispendere in dicta fabbrica, pigliando da lui polissa, quale una cum la presente ve serrà valitura. Citrarii, II decembris, VIII indictionis. A lo nostro piacere, Vincilao de Campitello”.
Preciso che nel mio saggio Cetraro – Notizie storiche (2007), come è obbligo per ogni storico e ricercatore serio, ho indicato le fonti. Per i lettori che vogliono smascherare i maneggioni delle ricerche di altri, dichiaro che quest’argomento, a livello locale, prima di me non era stato trattato.