A Cetraro: scrittori – poeti – critici

IozziFra un secolo, chi avrà l’avventura di leggere, relativamente ai nostri tempi, certi articoli o i bilanci di certe associazioni culturali, a torto o a ragione, penserà che Cetraro, all’inizio del XXI secolo, abbia ospitato una scuola letteraria con un munifico protettore di artisti. Sì, è vero, sull’esempio di una rivista bolognese di tanti anni fa, il mio paese ha una sua Officina letteraria sperimentale, dove le avanguardie, dirette da un pensatore non indigeno, possono imparare le tecniche e gli artifici dello scrivere, ma non diventare geni. Io non conosco altre scuole e chi, per convinzione personale, volesse, oggi, crearsi alibi per passare un giorno come precursore o caposcuola di mode letterarie sbaglierebbe. Siamo pochi coloro che da molti lustri, senza considerarci artisti, scriviamo saggi e se pure, umanamente, abbiamo motivi per compiacerci di fronte al quotidiano fiorire di tante opere, non abbiamo mai preteso di vedere una relazione tra i nostri scritti e quelli degli scrittori che hanno cominciato a scrivere dopo do noi.

Ogni opera di un certo valore, come dice il Binni, è un atto di coscienza attiva e operativa del proprio agire e pertanto è il frutto di una scelta personale e di un travaglio interiore e non di spinte esterne. Il Croce dice che il Verga ha letto molti romanzi francesi, ma che la spinta a comporre l’ha trovata nel suo intimo. Caso a parte è quello dei megalomani che utilizzano le fonti altrui.

Io, Ciro Cosenza, Luigi Leporini (autore di articoli e saggi su quotidiani e riviste), Giuseppe Forestiero (autore di racconti e opere di linguistica), Antonio Cosentino (autore di opere filosofiche), Vittorio Tripicchio ed altri non abbiamo mai pensato che un nostro prodotto letterario potesse esercitare un sorprendente condizionamento su un vasto pubblico, realizzando quello che H. R. Jauss definisce il legame triangolare autore-opera-pubblico. La possibilità o il privilegio di dare il nome ad una scuola letteraria, petrarchismo, marinismo, manzonismo, è dei grandi, i quali, nel promuovere un nuovo avviamento all’arte, sanno indicare, tra l’altro, le teorie artistiche.

È vero, a Cetraro, oggi, tanti scrivono, ma nulla è dato sapere, in assenza di una analisi disincantata, del valore intrinseco di ogni singola opera e dell’importanza sul pubblico. Amare i propri scritti e credere che siano graditi al pubblico non significa necessariamente cadere nell’edonismo. Su “Chiarezza”, gennaio 1994, un accademico partenopeo scriveva: “Non c’è  piacere più sottile che leggersi, gustare, gustare con avide pupille aggettivi e giri sintattici dei propri scritti stampati mettendosi dalla parte dei lettori, sentendo in sé, nel proprio gusto, nel proprio giudizio il giudizio e il gusto di ciascuno di loro, in perfetta e gioiosa sintonia”. Certo, io la penso in modo diverso.

Per quanto riguarda Cetraro, non si hanno elementi sufficienti, giudizi, elogi e critiche, per annunciare o proclamare, con sicurezza, la nascita un nuovo indirizzo letterario, di un nuovo gusto e di una nuova sensibilità. Certamente, di fronte ad una analisi specialistica che parli in modo preciso di un nuovo fenomeno letterario, di nuove metodologie di ricerca e metta in evidenza i pregi artistici dei nuovi scrittori, non esiterò a rivedere la mia posizione. E’ vero, questo è compito della critica, tuttavia chiunque scriva su un determinato argomento non può esimersi, anche per rendere più attendibili le proprie affermazioni, di fornire le coordinate di certi fenomeni artistici e culturali, precisando e determinando le caratteristiche di ogni singolo artista, in relazione alla forma espressiva e al contenuto. Soltanto, in questo modo si offre ai nuovi scrittori la possibilità di accettare o di rifiutare la collocazione in un determinato gruppo esprimendo l’eventuale consenso o dissenso.

Ricordo che, da alcuni anni, l’ottimo giornalista Pasqualino Guaglianone segue un filone e una ricerca tutta sua; Giovanni Forestiero mette in versi la nostra storia, Gino Ginori satireggia su Cetraro. Oggi, sui nuovi scrittori circolano notizie vaghe e frammentarie; è auspicabile  che qualcuno in futuro possa appassionarsi a questo discorso, fornendo maggiori  elementi e precisando, ad esempio, i nomi degli autori nonché segnalando gli eventuali legami spirituali e ideologici fra opere nate, per ragioni di tempo e di luogo, nello stesso svolgimento storico e nello stesso quadro animato dalla medesima tensione. ritengo che ogni opera letteraria sia un piccolo mondo a sé, con le sue diversità linguistiche e contenutistiche, nonché con differenti concezioni di vita. Va tenuto presente che c’è chi ama una prosa scarna, asciutta e c’è chi predilige uno stile brioso, aulico. Petrarca nel Secretum parla di dignità del linguaggio e dice  che chi scrive deve porre ogni cura nel cercare l’eleganza. Ricordo che Gustave Flaubert intendeva lo scrivere, la parola scritta, come musica, pittura e poesia.

E poi ci sono scrittori che nelle proprie opere riflettono la propria spiritualità. Il cattolicesimo per il Manzoni è stato una fonte di ispirazione; per altri, invece, il materialismo. Sarebbe una vera sorpresa sapere che i nuovi scrittori cetraresi abbiano accolto qualche elemento dell’eredità letteraria dei vecchi scrittori cetraresi.

Personalmente, ritengo che, nella nostra terra, la moda di scrivere sia dovuta al fatto che molti docenti in pensione, per rendere operoso il loro ozio, scoprono vecchie vocazioni e, forti della loro cultura, si dedicano, con entusiasmo, a scrivere. E’ questa una tradizione secolare ed universale e quindi non si tratta di una vera e propria moda. La vivacità letteraria della gente del nostro paese la si può rilevare anche dall’esistenza dei locali blog, vere palestre di esercizio creativo e critico per i cetraresi e per tanti che intimamente si sono integrati nella nostra terra.

Chi scrive ad una certa età, pur garantendo saggezza, serenità spirituale e padronanza formale, non sempre ha la consapevolezza  di possedere quella tensione necessaria per comporre un testo letterario capace di incidere culturalmente o di mettere a fuoco quei fenomeni che hanno dilaniato Cetraro e provocato un grido di dolore nella compianta poetessa Graziella Maritato. I libri di memoria dei nostri compaesani, pur utili, hanno privilegiato altri argomenti.

I non cetraresi che si sono interessati delle cose nostre, incapaci di penetrare la nostra realtà e di portare alla ribalta i contrasti che lacerano il nostro paese, diviso da sempre in figli e figliastri, hanno scritto solo sulle macroscopiche superficialità. Il premio Losardo, come ho scritto tante volte, è la prova del loro fallimento.

Senza voler generalizzare, io nei nuovi scrittori vedo persone con la testa a posto, uomini che non pensano minimamente di  mutare la realtà. Con i loro libri, spesso costruiti sui loro ricordi di vita, vogliono semplicemente essere testimoni del passato e spetta alle future generazioni tenerne conto e trarne insegnamento.

Gli scrittori cetraresi, a mio parere, per costume e per atavico carattere, non si riconosceranno mai in un caposcuola, non indicheranno mai il nome di tizio e di caio come precursori delle loro idee e non diranno mai di aver preso esempio da qualcuno. Ho sempre ritenuto che Cetraro abbia pensatori e scrittori autonomi. Vent’anni fa, relativamente al nostro paese, mi colpì una frase del prof. Nicola Zitara: “E’ cumi a Musica d’u Citraru”. La frase, nella lontana Siderno, viene citata negativamente per indicare un concerto bandistico in cui ognuno suona per conto proprio”. A Cetraro, tra cetraresi autentici, da sempre, non c’è solidarietà; ognuno opera e agisce per conto proprio, a volte l’uno contro l’altro, e bastano dei normalissimi forestieri, appoggiati dai poteri politico ed ecclesiastico, per imporre a una larga maggioranza la loro dittatura culturale e lacerare ulteriormente il nostro tessuto sociale. Il mondo culturale è quello che ha più invidiosi. Il mio primo libro ha quarant’anni e poco meno quello di Ciro Cosenza, ma né io ne Ciro Cosenza abbiamo mai pensato che le nostre fatiche meritassero un premio. Per quanto mi riguarda, il mio primo lavoro è stato giudicato, da due invidiosi accademici, come “un libro utile, ma scarsamente critico”. A costoro, io, quale epigono dell’antiuniversitario Nicola (Del) Vecchio), li ho sempre affrontati a viso aperto, perché non li stimo. La loro povertà interiore e culturale, per giudicarmi, li aveva portati a prendere in prestito quanto il Croce aveva affermato su un’opera di Guido Mazzoni: “Libro certamente utile per copia di notizie, ma…contornato di giudizi molto temperati e scarsamente critici” (B. Croce, La letteratura della Nuova Italia, vol. II, p. 278). Ho espresso solo delle mie opinioni.

Cav. Dott. Leonardo Iozzi