«La bellezza è un valore morale». Questo sosteneva il vescovo di Locri Giancarlo Bregantini. Il quale, quand’era in Calabria, non perdeva occasione per raccomandare ai suoi fedeli di intonacare le case, sistemare le strade, curare i giardini: perché «in un posto brutto, è facile che i ragazzi crescano brutti». E concludeva osservando, con amaro realismo, come «i paesi più brutti e trascurati sono quelli segnati dalla mafia».
Ed in effetti, noi siamo il luogo in cui viviamo.
Nel senso che l’ambiente che circonda ogni parte ed ogni momento della nostra esistenza, condiziona il nostro modo di vivere la vita: fino a modellare, su scala sociale, carattere e abitudini.
E noi, d’altro canto, formiamo il territorio in cui viviamo a nostra immagine diretta e somiglianza. Tale che nei quartieri di Cetraro, per esempio, vecchi e nuovi, si trova riassunta e quasi come materializzata la storia sociale, culturale ed economica che alla loro nascita è stata di fondamento.
Si tratta, dunque, d’una specie di circolo virtuoso che s’instaura tra abitato ed abitanti; in cui assume veramente rilevanza il criterio di bellezza: invocato non tanto e non solo sotto un profilo estetico, quanto invece come fonte di speranza di rinascita morale.
E questo solo può accadere se un corpo sociale, nella sua interezza, promuova appunto un criterio condiviso di bellezza inteso come affermazione d’umana dignità; perché, così facendo, ne trasferisce poi l’impronta alla propria città.
Come accade nello specchio che riflette, ogni mattina, il nostro volto: è sereno e ci sorride, solo se noi lo siamo.