Con l’avvicinarsi del Carnevale, abbiamo deciso di regalare a tutti i lettori di Cetraro In Rete un ebook dedicato alle maschere. L’abbiamo chiamato “Storia, cultura e tradizione delle maschere italiane”. L’autrice è la nostra Denise Grosso, che ha raccolto diverso materiale sulle principali maschere italiane e sulle ricette tipiche del Carnevale.
Vi anticipiamo che, l’anno prossimo, lo amplieremo, inserendo nuovo materiale e le descrizioni delle maschere minori.
Potete scaricare il libro cliccando sul titolo: Storia, cultura e tradizione delle maschere italiane o sull’immagine. Potete anche sfogliarlo direttamente nel box qui sotto. In basso, invece, trovare un estratto. Buona lettura
Introduzione: le origini
Forse non tutti sanno da dove hanno origine le nostre maschere. Beh, nascono – se così si può dire – dalla Commedia dell’arte, più o meno intorno alla seconda metà del 500, in piena età Rinascimentale. Si sviluppano e diventano un fenomeno di costume, tuttavia, nel Seicento, quando i comici dell’arte arrivano a gestire uno dei tre teatri di stato francesi. Poi, la Commedia giunge alla sua massima diffusione, tanto che, oggi, quel secolo viene definito “il secolo del teatro”. Le maschere così si diffondono e proprio il termine “maschera” diventa identificativo dei personaggi caratteristici della Commedia. C’è, comunque, qualche storico convinto che le maschere siano antecedenti alla Commedia dell’arte. In ogni caso, oggi, il Carnevale, che col passare del tempo ha “adottato” le maschere, è una delle ricorrenze più amate in tutto il mondo. E ovviamente anche nel Belpaese.
Le maschere italiane: i nomi e la collocazione regionale
Le principali maschere della tradizione italiana
Arlecchino
La maschera di Arlecchino nasce in Lombardia e precisamente a Bergamo, dove divenne la più celebre maschera del Carnevale. Tante sono le leggende legate al suo abito. Si racconta che i suoi amici, visto il suo profondo stato di povertà, gli regalarono delle pezze, ricavate dai loro vecchi costumi carnevaleschi, affinché ne potesse avere uno anch’egli. Altra leggenda vuole che la madre, estremamente povera, gli avesse cucito un vestito fatto con toppe ricavate da scampoli di stoffa dai diversi colori. Secondo un’altra versione ancora, Arlecchino era il servo di un avaro speziale che gli faceva indossare degli abiti fatti con le toppe delle sue vecchie vesti sdrucite. Di carattere è fondamentalmente scapestrato, agile, furbo e allegro. Ogni occasione è buona per mangiare, perché sempre colto da una fame insaziabile. Capace di mettere in atto i più svariati raggiri (che vengono puntualmente scoperti!), alla fine viene punito, ma perdonato da tutti, anche dal padrone!
Brighella
La maschera di Brighella, o Cavicchio, ha origine – proprio come quella del suo compare Arlecchino – nella bergamasca, ma tiene a far sapere che lui è di Bergamo alta, mentre Arlecchino di quella Bassa. Dice spesso: “mi son omo insigne ne le furberie e le più bele le ho inventate mi…”. A differenza di Arlecchino, che nella Commedia dell’Arte riveste il ruolo del servo sciocco, Bighella è un servo astuto, attaccabrighe, che sembra così devoto al suo padrone da farlo sembrare quasi indispensabile, anche se fa di tutto per un suo puro rendiconto personale. La furbizia, infatti, è il suo tratto distintivo. Dice bugie con una naturalezza fuori dal comune, truffa e imbroglia il prossimo con raggiri e trappole di vario genere, giusto per il gusto di ingannare oppure spillare denaro ai ricchi o ancora rimediare qualche pranzo succulento. Altra caratteristica è l’agilità mentale e la scaltrezza, oltre che l’essere senza scrupoli. È bravo nel cantare, suonare e ballare. Proprio come il secondo Zanni (cioè il servo della commedia dell’arte) Brighella, si esprime nello stesso dialetto, ma ha delle movenze più misurate e non è certo rozzo come il suo antagonista. Il suo nome deriva dal termine “Brigare” che significa “intrigo”. Viene raffigurato con il batocio (un bastone utilizzato per mescolare la polenta), che in seguito fu sostituito da una spada e un ampio borsello di pelle, attaccati entrambi alla cintura, una giacca e dei pantaloni decorati con dei galloni verdi e delle scarpe, anch’esse verdi con pon-pon neri. Aveva una barbetta con dei baffetti, una mezza maschera di colore verde e naso arcuato.
Meneghino
Meneghino o Domenichino è una maschera tipica di Milano. Si è affermato con la Commedia dell’arte del 600. Il suo nome sembra derivi dai “Menecmi di Plauto” oppure dal “Menego di Ruzzante”. La sua maschera è caratterizzata da un cappello a tre punte, una parrucca alla francese con una treccina e una lunga giacca marrone, con pantaloni corti e lunghe calze a righe, rosse e nere. Amante della libertà e della buona tavola, adora deridere i nobili. Saggio, non esita a prendere le difese del suo ceto sociale. Generoso, non riesce a non star fermo senza far nulla. È di buon senso ma rozzo. Definisce la sua fisionomia grazie agli scritti di Carlo Maria Maggi, che gli fece acquisire il cognome di Pecenna.
Balanzone
Maschera di Bologna, città della più antica università italiana. Giurista presuntuoso, mite e chiacchierone che, il più delle volte, passa con estrema facilità dall’essere notaio ad avvocato. È il personaggio serio della Commedia dell’arte, che a ogni occasione vuole mostrare a tutti la sua saccenza inesistente, elargendo consigli inutili e parlando un latino improponibile e facendo una gran confusione con gli argomenti trattati. È inoltre il personaggio più vecchio della Commedia dell’arte, dove viene chiamato anche “Graziano” o più semplicemente “Dottore” e indossa la vecchia toga degli studi di Bologna, con polsini e colletto bianchi, cappello a tesa larga, mantello e giubba. Segno caratteristico un gran pancione! Tutte le maschere si rivolgono sempre a lui per i più disparati pareri medici.
Pantalone
Pantalone è la maschera di Venezia per antonomasia e, infatti, il suo parlato si esprime in dialetto veneto. Tre sono le ipotesi più accreditate per ciò che concerne la derivazione del suo nome. La prima vuole che derivi dal nome del Santo Patrono della città, ossia San Pantaleone; la seconda che la sua origine derivi da “Pianta – Leone”, poiché proprio i mercanti usavano piantare la bandiera della Serenissima nei luoghi ove andavano ad esporre le loro mercanzie; la terza – forse anche la più accreditata – che abbia avuto origine dai lunghi pantalone che il personaggio indossa. È raffigurato con aderenti pantaloni di color nero, una giubba rossa, delle pantofole, porta la caratteristica zimarra di lana veneziana, e una scarsella che contiene naturalmente i suoi denari. Ha il volto coperto per metà da una maschera nera dal naso adunco. Pantalone rappresenta i ricchi mercanti veneziani. È un tipo avaro, avarissimo! È un vecchio vizioso, tirannico, ricurvo su se stesso, attratto dalle giovani donne e cortigiane: ciò lo porta sempre a essere in conflitto con i giovani pretendenti di queste ultime. È lamentoso ma comico allo stesso tempo, basti pensare al cognome da lui portato, “de Bisognosi”. Esso incarna in sé tutti le virtù e i vizi dei benestanti veneziani. Questa maschera attraversa indenne tutti e tre i secoli della Commedia dell’arte, comparendo per sino in un canovaccio, destinato ad una rappresentazione svoltasi in Baviera nel lontano 1568.
Gianduia
Gianduia, o “Giovanni del Boccale”, è nato nel 1798 dai suoi due creatori, Sales e Bellone. Due sono le ipotesi attendibili di derivazione del suo nome: “Giandoja” come contrazione di “Gioanin dla doja”, dove “doja” sta come “contenitore del vino”, in lingua piemontese, oppure le sue origini sono dovute a un atto di riguardo del suo inventore, burattinaio (Sales), nei confronti del suo amico, “Gioanin d’Oja”, oppure questo nome fu messo in onore di “Oja”, una frazione di Racconigi e che è situata proprio in Piemonte. Gianduia incarna il carattere del popolo del Piemonte, gioioso, conservatore, di buon senso, con una buona dose di coraggio, dedito al dovere e alla parola data, ma anche gioviale e amante della buona tavola e soprattutto del vino: tant’è che Gianduia viene raffigurato sempre con il suo calice di vino rosso in mano, che gli conferisce un tipico colorito roseo sulle guance. Fedele alla sua compagna Giancometta, con la quale diventa il re dei Carnevali di quei luoghi, egli visita nei giorni antecedenti, ospizi e ospedali, facendo molta carità e opere di bene. La sua figura viene dipinta come un galantuomo, vestito con una giacca abbastanza lunga e orlata di rosso, con pantaloni verdi che gli giungono sino al ginocchio e un panciotto giallo. Immancabili le sue calze color di rosso, il suo codino e il suo cappello a tricorno, simbolo delle armate piemontese dell’800 – alle quali si deve l’unità nazionale – dove è attaccata una coccarda con i colori del tricolore. Dal suo nome ha vita la cioccolata e i celebri cioccolatini “Gianduiotti”.
Giacometta
Giacometta è la compagna di Gianduia e, proprio come lui, spesso e volentieri, si schiera dalla parte dei più poveri e bisognosi. È coraggiosa e combatte i soprusi. Il suo buon senso gli permette di superare le difficoltà che le si presentano nel corso della vita, mettendo a disposizione del prossimo la sua saggezza. Indossa un vestito molto simile a quello usato nel folclore piemontese, composto da una veste scura con una gonna ampia e lunga, una scialle di pizzo a coprire una camicia bianca, sottana, mezzi guanti, un grembiule a fiori e un cuffietta di forma ovale, anch’essa ornata con del pizzo.
Tartaglia
Tartaglia è una maschera della Commedia dell’arte che nasce in Campania e precisamente a Napoli, per opera di un certo Beltrami, nel lontano 1630. Proprio a Napoli la maschera raggiunge l’apice della sua popolarità nella metà del 1600. Anche per merito degli attori Carlo Merlino e Agostino Fiorilli, che contribuirono alla sua grande popolarità. Un po’ grasso e pasticcione, Tartaglia non ha grandi caratteristiche comportamentali o caratteriali. Non porta né baffi né barba, come invece hanno la maggior parte delle altre maschere regionali. È calvo, miope e balbuziente, tratto connotativo da cui deriverebbe il suo nome. Nella Commedia ha svolto molti ruoli, tutti diversi tra loro, dal pedante, allo speziale, al servo scaltro, all’avvocato, sino a diventare poi, definitivamente, un notaio. Il suo abito con mantello è a strisce verdi e gialle e ha un ambio collettone bianco, corredato dagli immancabili occhiali da vista, anch’essi rigorosamente verdi.
Stenterello
È l’unica maschera del Carnevale e del teatro fiorentino, facente parte della Commedia dell’arte. Inventato dall’attore e commediografo, nonché orologiaio, Luigi del Buono – autore di “Sempronio spaventato dagli spiriti” – nel XVIII secolo, Stenterello raffigura il classico fiorentino di origini umili. È sempre affamato e non disdegna il vino, tant’è che spesso viene raffigurato con una bottiglia di vino cucita sui calzoni. L’iconografia tradizionale vuole che porti una giacca blu, con risvolto delle maniche a scacchi rossi e neri, le scarpe nere e una calza rossa e l’altra a strisce azzurre e bianche. Porta un cappello che sembra quasi una “Barchetta di Carta” e una parrucca con un codino. I suoi tratti distintivi sono le sopracciglia e naso arcuati, pelle olivastra e non per ultima la sua magrezza, che fa sembrare ancor di più che egli viva una vita di fatiche e stenti – da qui il nome – ; la furbizia e l’ingegno, che spesso però lo cacciano in un mare di guai. La saggezza e il suo ottimismo fanno sì che egli superi sempre le varie avversità della vita, ma ciò non gli evita di essere inseguito dai suoi tanti creditori che gli danno la caccia. Il tipico personaggio fiorentino dalla lingua lunga, ma non per questo coraggioso anzi! La fifa gli impedisce spesse volte di schierarsi dalla parte dei più deboli, come spesso vorrebbe, dando vita così a situazioni grottesche. Ha sempre la risposta pronta e si esprime in vernacolo fiorentino.
In teatro Stenterello non ha un ruolo fisso ma è la figura comica centrale, intorno al quale ruotano intrecci di commediole, mischiando tra loro elementi della tradizione e non.
È la figura di un giovane che grazie alla sua astuzia e all’ingegno riesce sempre a cavarsela. È molto generoso con chi è più povero di lui. È dotato di arguzia e di saggezza che, unite all’ottimismo, gli fanno superare le avversità della vita. È un ragazzo proveniente dal ceto più povero della città, che ha sempre la risposta pronta e un linguaggio pungente, ma brioso che non cade mai nella volgarità, avendo, malgrado le difficoltà della vita, la voglia di ridere e scherzare. Alla fine della sua carriera però Stenterello, assunse la figura di un personaggio sboccato e sempre pronto alla volgarità del gesto e della parola – tanto che gli fu appioppato il cognome “Porcacci” – giungendo sino alla satira politica. Tutto ciò ne decretò la scomparsa dalle scene, malgrado l’opposizione del noto Giuseppe Giusti, che dichiarò: “Zitto, l’equivoco/Di Stenterello, /Che sa di bettola/E di bordello!/“.
Rosaura
Rosaura appartiene alle “maschere senza maschera” della Commedia dell’arte. Fattore che ne permette di mettere in risalto molto di più il carattere poetico e romantico, anziché le movenze. Nasce a Venezia e si esprime quindi in lingua veneziana. Figlia del ricco, ma avaro, mercante Pantalone, vive in un grande palazzo sul Canal Grande. Data in sposa da giovanetta a un ricco ma vecchio aristocratico, rimane vedova molto presto. Altri uomini, perciò, le fanno le carte per averla in sposa, ma lei è perdutamente innamorata di un giovane, Florindo, spiantato e senza denari, che Pantalone di certo nel vede di buon occhio. Rosaura, però, riesce sempre a far avere le sue lettere d’amore al giovane, grazie alla sua scaltra amica e servetta Colombina, nonché compagna di Arlecchino. Indossa un abito blu, stretto in vita da nastri. I capelli sono biondi, sempre ben acconciati e arricchiti da gioielli e fiocchi di vario colore. Porta in mano un ventaglio rosa. La vanitosa e chiacchierona Rosaura è stata la protagonista di molte delle commedie del Goldoni, che ne ha fatto un perfetto ritratto nella “Vedova Scaltra” e la “Donna di garbo”.
Colombina
Colombina è l’amorevole servetta di Rosaura, figlia di Pantalone, e proprio come loro è di Venezia. Furba, scaltra, un po’ vanitosa e civettuola, sa far rigare diritto il genere maschile. Con i suoi modi seduttivi e intriganti, sa far perdere la testa agli uomini – anche a Pantalone – che malgrado l’età avanzata non la disprezza affatto! Pratica e sbrigativa, con la sua vivacità e servizievolezza, fa di tutto per aiutare la sua padroncina, anche a costo di mille sotterfugi e bugie a fin di bene. Abile nel nascondere lettere d’amore da recapitare alla sua padrona, senza che il padre o altri suoi possibili amanti lo vengano a sapere, Colombina è sempre stata amata dal pubblico. Colombina è intelligente e sa che per sopravvivere in una società, come quella d’oggi giorno, si deve attingere a furbizia e sensibilità. Nella Commedia dell’arte è la moglie o la amorosa del geloso Arlecchino, che è speculare a lei in molte cose. Una figura simile a Colombina si ritrova già nelle commedie di Plauto, come una delle ancelle furbe, sempre pronta a suggerire alla padrona l’astuzia giusta. Abbandonati i panni della schiava, si ritrova definitivamente in quella della servetta, già in uno scritto del 1530, a opera degli accademici “Intronati” di Siena. Anche lo scrittore Virgilio Verucci la rende protagonista di una delle sue commedie, “Colombina”, pubblicata nel lontano 1628. Colombina ha un vestito simile a quello delle damine veneziane, un grembiule bianco arricchito da tasche, in cui nascondere le missive, scarpe nere con tacco basso e fiocchi blu e una veste colorata e con ricche balze. Immancabile il suo copricapo a “Crestina”, che richiama quello di una Cameriera. Svariati sono i nomi datigli nelle varie regioni italiane: Arlecchina, Franceschina, Betta, Marinetta, Violetta, Corallina e Diamantina.
Pulcinella
Pulcinella è la più antica maschera della penisola italiana. Già nota al tempo dei romani è scomparsa con l’arrivo del cristianesimo per poi risorgere nel 500 con la Commedia dell’arte, su invenzione di Silvio Fiorillo. Questa maschera con due gobbe e il naso adunco può considerarsi la più antica del nostro Paese. Pulcinella, che personifica la borghesia napoletano con i suoi vizi e le sue virtù, non è mai relegato a un ruolo preciso: sulla scena è infatti, servo furbo e ozioso, oste, mercante, ladro, mentitore che seduto su una sgabello di legno artigianale, nei vicoli di Napoli, cerca di smerciare i suoi finti intrugli miracolosi con la sua vocina stridula, che sembra quella di un pulcino – e da ciò il suo nome – ai tanti che passano di lì! Egli è compare di Arlecchino e di questi, spesso rivale in amore. È alla ricerca perenne di cibo, che è la sua preoccupazione principale. Il soddisfare questo bisogno lo porta ad aguzzare la mente e a ideare stratagemmi impensabili. Ma la sua fame è implacabile! Nasconde spesse volte le salsicce nella sua larga veste bianca e dice che: “la frittata di maccheroni è molto buona ma io non posso mai mangiarla perché la pasta non mi avanza mai”. Pulcinella è l’emblema di Napoli, generoso, genuino, litigioso, burlone e goffo nei movimenti, tanto che quando si arrabbia esplode in una danza frenetica fatta di gesti e parole che fanno sbellicarsi dal ridere. Essa è conosciuta in tutto il mondo con vari nomi: Pulzinella in Germania, Tonelgeek in Olanda, Don Christoval Polichinela in Spagna. Altra caratteristica: non riesce proprio a stare con bocca chiusa; per questo è rimasta nota l’espressione “è un segreto di Pulcinella” per dire di qualcosa che tutti sanno. Egli ha caratteri contrapposti: passa dall’essere triste all’allegria spropositata. È goffo ma imbroglione come ben sapeva Eduardo De Filippo. In tempi più remoti si dice si chiamasse “Policinella” e che essa incarni il perenne dualismo: uomo – donna, diavolo – santo, chiesa – e anti cattolicesimo.
A lui è dedicata anche questa filastrocca: “Pulcinella aveva un gallo, tutto il giorno vi andava a cavallo, con la briglia e con la sella. Viva il galletto di Pulcinella! Pulcinella aveva un gatto, tutto il giorno saltava da matto, suonando una campanella. Viva il gattino di Pulcinella”.
Pulcinella indossa scarpette nere, un abito bianco e largo, stretto in viso, ove spesso nasconde del cibo e una mezza maschera di colore nero.
Le filastrocche più note sul Carnevale
Il vestito di Arlecchino (Gianni Rodari)
Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta!”.
Il girotondo delle maschere (di G. Gaida)
E’ Gianduia torinese
Meneghino milanese.
Vien da Bergamo Arlecchino
Stenterello è fiorentino.
Veneziano è Panatalone,
con l’allegra Colombina.
Di Bologna Balanzone,
con il furbo Fagiolino.
Vien da Roma Rugantino:
Pur romano è Meo Patacca.
Siciliano Peppenappa,
di Verona Fracanappa
e Pulcinella napoletano.
Lieti e concordi si dan la mano;
vengon da luoghi tanto lontani,
ma son fratelli, sono italiani.
Carnevale vecchio e pazzo (di Gabriele d’Annunzio)
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare pane, vino,
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.
Beve, beve all’improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia.
Così muore il Carnevale
e gli fanno il funerale:
dalla polvere era nato
e di polvere è tornato.
Qualche ricetta…
Polpette con carne tritata e mozzarella
Ingredienti per 4 persone
Una fetta di pancarré integrale, 2 cucchiai di latte, uno spicchio di aglio, 300 gr. carne di manzo tritata, un uovo, un cucchiaino di paprika dolce, 30 gr. Pangrattato, 2 cucchiai di olio di oliva, 125 gr. di mozzarella di bufala, olive nere, basilico fresco tritato, filetti di acciuga in scatola (25 gr.).
Eliminate la crosta del pancarré e bagnatelo nel latte caldo. Intanto, pelate e tritate l’aglio, mescolandolo con la carne tritata, l’uovo e il pane. Strizzate, e dategli sapore con sale, pepe e paprika. Con il composto di carne formate delle palline piatte e passatele nel pangrattato. Preriscaldate il forno a 200° C (se ventilato 180° C). Scaldate l’olio in una padella e friggete le palline di carne sui due lati per circa 3 minuti. Una volta pronte disponetele su una pirofila. Fatto questo, eliminate il picciolo dal pomodoro e affettatelo insieme alla mozzarella e alle olive. Disponete su ogni polpetta una fetta di pomodoro cosparsa con del basilico. Ora, aggiungetevi sopra una fetta di mozzarella, un filetto di acciughe e alcune fettine di olive. In ultimo, pepate e cuocete in forno per circa 15 minuti. Consiglio: potete servire le polpette congiuntamente con del sugo al pomodoro e delle baguette.
Krapfen ripieni
Per circa 15 Krapfen
500 gr. di farina, una presa di sale, 75 gr. di burro, 50 gr. di zucchero, 2 tuorli, mezzo cubetto di lievito di birr, 200 ml. di latte tiepido, la farina per il piano di lavoro, confettura per riempire, olio o burro chiarificante per cuocere, zucchero semolato per guarnire.
Mettete farina e il sale in una terrina, incorporando poi il burro morbido a pezzetti, lo zucchero e i tuorli d’uovo. Intanto, sciogliete il lievito nel latte appena tiepido e mescolatelo al composto di farina, fino a ottenere un impasto piuttosto morbido ed elastico. Coprite il tutto e lasciate lievitare per circa un’ora. Riprendete la pasta e lavoratela energicamente sul piano di lavoro infarinato, stendendo una sfoglia dello spessore di 1 cm. Fatto ciò, con una formina per biscotti rotonda, ricavate da metà sfoglia dischi del diametro di 8 cm. Ora, distribuite un po’ di confettura al centro dei dischi di pasta, che ricoprirete con altri dischi di pasta, ricavati con l’impasta messo da parte precedentemente. Disponete i dolci su una spianatoia infarinata e lasciateli lievitare, coperti, per altri 30 minuti. Nel frattempo, portate l’olio a 180° C e adagiatevi i krapfen, poco alla volta, facendoli cuocere per 3 minuti con il coperchio; girandoli poi su se stessi, per un altro minuto. Infine, sgocciolateli su carta da cucina e, ancora caldi, passateli nello zucchero.
Le castagnole
Ingredienti per 8 persone
2 uova, 200 gr. di farina, 50 gr. di burro ammorbidito 50 gr. di zucchero, mezza bustina di vanillina, lievito in polvere per dolci, liquore all’anice o altro liquore, una presa di sale, strutto, zucchero a velo .
Le castagnole che si preparano nei giorni di Carnevale, sono chiamate così per via della loro forma, che assomiglia molto a quella di una castagna, anche se, c’è da dire che nel loro impasto non vi è tracce di castagne! Esse sono conosciute e proposte nei festeggiamenti di Carnevale soprattutto nel Lazio e in Emilia, da dove si sono diffuse in tutta Italia. Come tutti i dolci che vengono proposti a Carnevale sulle nostre tavole, anche le Castagnole sono dolci fritti e ricoperti di zucchero, nella piena tradizione carnevalesca. Preparazione: in un recipiente mettete lo zucchero, la farina, le uova, il burro spezzettato, il liquore all’anice, la vanillina, il lievito per dolci e una presa di sale, amalgamando tutti gli ingredienti, fino a quando ne risulterà un impasto amalgamato e non eccessivamente soffice. Fatto ciò ponete la pasta da lavorare su una spianatoia e poi datele prima una forma allungata, per poi tagliarla a tocchetti a cui subito dopo darete una forma tondeggiante. Ora, in una padella – non troppo grande – dai bordi alti, ponete a scaldare abbondante strutto (che deve essere preferito all’olio in questo caso, poiché il suo sentore sarebbe più acuto) e adagiatevi le castagnole poco alla volta, rigirandole e scolandole, quando avranno assunto un colorito dorato. A questo punto adagiatele su carta forno – così che si libereranno dell’olio assorbito in eccesso – e cospargetele di zucchero, per poi consumarle calde.
Frittata alla salsiccia
Ingredienti per 4 persone
Una salsiccia, 6 uova, una presa di sale, un cucchiaio di olio extravergine.
Con questo articolo, vi vogliamo far conoscere anche una ricetta tradizionale, povera, ma non per questo prive di gusto del Carnevale Calabrese, la frittata con la salsiccia (curata), così come la preparavano nel periodo di Carnevale i contadini o la gente del popolo calabrese. In una recipiente mettete le uova, mescolandole bene, congiuntamente a una presa di sale e poi unite al tutto la salsiccia tagliata a rondelle. Amalgamate tra loro tutti gli ingredienti e subito dopo fate scaldare una padella, nella quale aggiungerete un cucchiaio di olio, per scongiurare che la frittata si attacchi. Fatela friggere qualche minuto per parte, e riponetela su della carta assorbente, perché perda l’olio in eccesso e servite in tavola ben calda.
Le bugie
Ingradienti
Farina, più quella per la spianatoia (240 gr.). Scorza di limone grattugiata, 20 gr. di zucchero, 20 di burro, 2 uova, un cucchiaio di grappa e un pizzico di sale. Olio per friggere.
Le bugie di Carnevale sono i dolcetti fritti, per antonomasia del Carnevale, che hanno avuto origine in Lombardia. Vengono preparati dal sud al nord Italia, più o meno con gli stessi ingredienti ma nelle diverse regioni assumono denominazioni differenti: Cenci o Donzelline in Toscana, Frappe nelle Marche, Sfrappole in Emilia Romagna, Galani a Venezia, Frappe nel Lazio, Crostoli a Ferrara, Lattughe a Mantova ecc. In Calabria mantengono il nome dato loro in Lombardia ma si differenziano nell’impasto per l’aggiunta del vino moscato.
Fate la fontana con la farina mettetevi al centro la grappa, lo zucchero, la scorza di limone grattugiata, le uova e il sale, lavorando il tutto fino ad avere un impasto omogeneo e sodo – se così non fosse aggiungete altra farina. Subito dopo formate una palla con l’impasto e avvolgetela nella pellicola trasparente, facendola riposare per circa mezz’ora a temperatura ambiente. Ora ponetela sulla spianatoia, stendetela con il matterello, per poi dagli le forme che desiderate con la rotella per la pasta. Fatto questo, scaldate dell’olio abbondante in una piccola padella a bordi alti e fatevi friggere i dolci, rigirandoli, per poi scolarle e privarle così dell’olio in esubero. Spolverizzate con zucchero a velo e servite.
Frittelle di mele
Per 4 persone
160 gr. di farina, 3 mele, 4 uova, 100 ml. di latte, 80 ml. di birra 100 gr. di zucchero, olio di semi per friggere.
Le frittelle di mele si preparano nel periodo di Carnevale, soprattutto nelle Alpi e dalle parti di Bolzano. È un dolce fritto goloso e veloce da realizzare. In una ciotola mescolate la farina con due cucchiai di zucchero, aggiungendo le uova sbattute, con il latte, la birra e il burro fuso. Intanto, sbucciate le mele e fatele a tocchetti, aggiungendole poi al composto. Friggete il tutto in abbondante olio e una volta pronte, lasciate che perdano l’olio in eccesso. Infine, quando saranno tiepide, passatele nello zucchero, per poi servirle in tavola.