Madre coraggio, è questo il nome che i giornalisti le attribuirono quando, nel giugno del 1989, s’incatenò per le stradine di Platì e di San Luca per chiedere la liberazione del figlio Cesare.
Ieri, Madre coraggio, Angela Casella, ci ha lasciato.
La sua vicenda, o meglio, quella del figlio, ha tenuto l’Italia intera col fiato sospeso per più di 700 giorni: dal 18 gennaio del 1988 al 30 gennaio del 1990. Periodo in cui Cesare subì uno dei crimini più odiosi della storia: il sequestro di persona.
All’epoca la famiglia Casella pagò un riscatto di un miliardo di lire, ma i rapitori ne pretesero altri cinque. Così Angela si recò in Aspromonte e, dormendo in una tenda, protestò davanti a tutti per smuovere la coscienze. «Cesare – disse – forse tu non hai nemmeno una tenda». Sostenendosi ai ceppi, affermò: «Mio figlio è così da 17 mesi».
Angela è venuta a mancare dopo una lunga malattia. Ed ha lasciato uno splendido ricordo in tantissimi italiani. «Non odio la Calabria – aveva detto tempo fa – è una regione bellissima. Ne ho un ricordo stupendo, se penso ai quei giorni. Di solidarietà».
Ripercorriamo i fatti.
La sera del 18 gennaio 1988, Cesare sta rientrando a casa, quando una vettura gli blocca la strada e due banditi lo prelevano puntandogli contro una pistola.
Dopo un breve periodo passato in un garage, vicino a Pavia, lo trasferiscono sull’Aspromonte legandolo in una “tana” lunga due metri, larga uno e alta uno e mezzo. Un buco, con pareti foderate da un muro di sassi, posto ai piedi di un albero alla cui base è assicurata una catena che, dall’altro capo, gli lega collo e caviglie. Sopra, solo una lamiera ricoperta di foglie.
I rapitori chiedono il riscatto. E la famiglia paga. Ma i sequestratori vogliono di più. Altri soldi. «Sei un bastardo, sta zitto e paga», dicono al padre, un uomo schivo e di poche parole, titolare di una concessionaria Citroën, la Casella srl.
Così, Angela Casella non ce la fa più e decide di andar giù per manifestare la sua disperazione. Scende prima a novembre del 1988 e poi il 10 giugno ’89. Gira le piazze e raccoglie firme di solidarietà. Dopo 743 giorni di prigionia, Cesare viene liberato.
Subito dopo la liberazione cominciano due-tre mesi di “euforia”. Cesare è inseguito da giornali e TV: lo si vede a fianco dell’allora presidente del Milan (sua squadra del cuore) Silvio Berlusconi; partecipa a diversi programmi d’intrattenimento; viene intervistato e interviene telefonicamente a qualche trasmissione televisiva; riceve tantissime lettere di apprezzamenti e il settimanale Visto pubblica, in una rubrica, alcune sue risposte, anche assieme a sua madre Angela, chiamata più volte ad interventi di stampo umanitario.
Infine, scrive un memoriale che, successivamente, viene trasformato in un libro, intitolato 743 giorni lontano da casa. Il volume, edito da Rizzoli e scritto di concerto con il giornalista Pino Belleri, diviene anche un film per la televisione: Liberate mio figlio. Andato in onda nel 1993, evidenzia soprattutto la vicenda della madre.
743 giorni lontano da casa, invece, racconta la storia drammatica di quegli anni terribili. Descrive la pena, l’odio, le minacce e i rimproveri continui che Cesare fu costretto a subire per 743 giorni.