Infermiera killer di Lugo: uccideva con iniezioni di potassio

La tragica vicenda di Lugo è ormai purtroppo nota a tutti. Ciò che forse in molti ignorano  è il dramma nel dramma: ovvero che i familiari delle vittime dell’infermiera killer non sapranno mai se effettivamente i loro cari sono morti a causa dell’iniezioni di potassio. Già, perché questo elemento, pare, non lasci traccia. L’infermiera killer di Lugo di Romagna, infatti, Daniela Poggiali, 42 anni e che lavorava all’Umberto I, sembra iniettasse dosi letali di cloruro di potassio nelle vene dei pazienti che lei riteneva difficili. Come è accaduto, per esempio alla signora Rosa Calderoni, ricoverata per un problema di salute legato al diabete. Un malanno non grave per una donna di 78 anni. Ma che poi, l’8 aprile, muore per arresto cardiaco in un letto dell’ospedale Umberto I di Lugo. Un decesso inaspettato, quasi quanto l’esito dell’autopsia: nel corpo della signora vi era una quantità letale di cloruro di potassio, una sostanza che si usa anche per le esecuzioni capitali.

daniela-poggiali-fotoMa quella della signora Calderoni è sono una delle storie che riguardano l’infermiera killer. Tutta la vicenda è riassunta in un corposo articolo pubblicato oggi sul sito del quotidiano torinese La Stampa.  Articolo scritto dall’inviato a Lugo Raphaël Zanotti e che riportiamo integralmente.

“Vilma Taglioni è in piedi nell’aia davanti a casa con un grembiule a fiori. È ancora scossa. Ha appena finito di raccontare di quella notte di marzo quando il fratello Faustino, 87 anni, ha avuto l’ictus nel bagno. L’hanno portato in ospedale, a Lugo. Poche ore ed è morto. Vilma Taglioni tiene gli occhi bassi, senza luce. Poi li alza all’improvviso, un baleno, e li pianta nei tuoi: «A me hanno detto che non gli hanno dato niente, che hanno controllato. Ma io come faccio a essere sicura, chi me lo dice che non è stato ucciso? Avrò il dubbio per sempre».

L’atroce dubbio
Ecco, a Lugo ci sono 38 famiglie come i Taglioni. Persone che hanno perso un loro caro nei primi tre mesi di quest’anno nel reparto di Medicina dell’ospedale. Pensavano a una morte naturale. Ora, dopo che l’infermiera Daniela Poggiali è stata arrestata venerdì con l’accusa di aver ucciso un’anziana con un’iniezione di cloruro di potassio, non lo sanno più. E rimarranno nel dubbio per sempre: il potassio, dopo 48 ore, è irrintracciabile.

L’angelo della morte
Che volto ha un «angelo della morte»? Non quello degli abitanti di Lugo che domenica mattina, al mercato, tra i tavolini del bar, si contendono il giornale per leggere le ultime notizie sulla Poggiali. Non quello addolorato dei figli di Rosa Calderoni, l’unica vittima accertata, che oggi si chiudono nel silenzio per affrontare il più errato e umanissimo dei sensi di colpa: quello di aver accompagnato la madre in ospedale quando stava male. Non il volto arrabbiato del paramedico accanto all’ambulanza che urla a muso duro a un collega: «Ma noi abbiamo il dovere di curare i pazienti, sennò tutto è perduto».

In ospedale
L’ospedale di Lugo è un dedalo di linoleum, fogli attaccati a porte e muri, corsie che sanno di antisettico. Un susseguirsi di padiglioni di varie epoche che seguono gli ampliamenti dell’ultimo secolo. Il reparto dei lungodegenti è un corridoio arancione in fondo all’ala B, una cinquantina di metri che Daniela Poggiali avrà attraversato migliaia di volte passando da un paziente all’altro. Facile nascondere un omicidio, in questo non luogo dove il confine tra la vita e la morte è labilissimo, quasi sempre artificiale. Qui si corre, oggi, e se qualcuno fa domande, non ottiene risposte

Jolly Dany
I giornali descrivono Daniela Poggiali «glaciale», «fredda», «impassibile». Spersonalizzare il male è il primo modo di esorcizzarlo. Ma Daniela Poggiali dal racconto delle sue colleghe, era ingombrante, vendicativa.
«Litigava con le colleghe – racconta Sara Pausini, un ex collega – prendeva iniziative non condivise, somministrava terapie a pazienti non suoi». Alla caposala parlava da pari, si offriva per gli straordinari. Monica Pittoto, un’altra collega, racconta che era solita esagerare con i lassativi per mettere in difficoltà le colleghe del turno successivo. Oppure, quando i pazienti erano paticolarmente difficili, li imbottiva di tranquillanti. «Ci penso io», diceva quando qualcuno era particolarmente agitato. Com’era al lavoro? «Instancabile, mai vista che sbuffava, Era sempre stranamente euforica». Non una fredda calcolatrice, più simile a Jane Toppan, l’infermiera del Cambdridge Hospital che all’inizio del ’900 venne arrestata per aver ucciso 31 persone. Era sempre allegra, per questa era soprannominata Jolly Jane.

Le voci in corsia
Tutti sapevano delle morti sospette, quando la Poggiali era di turno. «Eravamo sconcertate che nessuno facesse nulla» riferisce ancora la Pausini. Eppure la caposala si limitava a dire: «Ho segnalato in direzione» e nessuno si muoveva. Neppure il dottor Giorgio Bevoni. Parlando con la Poggiali di un paziente con il quadro clinico difficile lei disse: «La soluzione c’è: due fiale di potassio». Oggi Bevoni si rammarica: «L’ho presa come una battuta». Un altro medico, nel trovarla con un sacchetto pieno di medicinali (valore 300 euro), la riprende. Lei risponde: «Mia madre paga le tasse». Fine. Nessuna segnalazione. L’unica a rompere il silenzio è stata Marinella Felloni, una collega. Ha presentato una denuncia perché ha visto la Poggiali rubare. Poco dopo ha trovato sul parabrezza un mazzo di ciclamini con un nastro nero.

L’indifferenza dei vertici
Che volto ha un «angelo della morte»? Non quello, indifferente, dei vertici dell’ospedale. Che già da tempo sanno delle voci, eppure non intervengono. Il 4 e 5 aprile muoiono durante il turno della Poggiali Maria Sangiorgi e Vincenzo Tamburrini. Prima ci sono stati Giorgina Errani, Oriana Cricca e Faustino Taglioni, parente di Mauro, il direttore infermieristico che le aveva contestato i furti. Altri sospetti. In un vertice tra i responsabili delle Asl a Ravenna viene data una disposizione: stop, al prossimo decesso niente analisi diagnostiche, si chiamano subito i carabinieri. Non andrà così. Rosa Calderoni muore il 7 aprile. Vengono disposte le analisi, la denuncia arriva il 9 mattina. Solo l’intervento tempestivo dei carabinieri che raccolgono al volo il medico legale e lo portano in mezz’ora a Lugo permette di fare gli esami che troveranno il potassio. Altrimenti sarebbe stata un altro caso dubbio, come gli altri 38.”