L. Talamo biografo del Militerni

Chiedo perdono al podestà Tortora di Citrarion, al vescovo di Sammarro d’Orato e ai loro accoliti se continuo ad interessarmi di storia pur non avendo avuto da loro la patente di storico.

Su questo blog mi sono già soffermato sulla figura del senatore Giuseppe Mario Militerni e riprendo il discorso riportando alcune note, del cetrarese Luigi Talamo, scritte dopo aver appreso telefonicamente della improvvisa dipartita del politico cetrarese.

Il prof. Talamo, compagno di scuola di Vincenzo Militerni, padre di Giuseppe Mario, colpito da quella improvvisa notizia, provò a tracciare un breve quadro dell’amico senatore, visto come un “apostolo laico”.

Giuseppe MiliterniGli appunti sono segnati su dei fogli ingialliti del 1967 e non saprei dire se essi sono stati pubblicati su qualche periodico. Io ho avuto detti fogli di carta, assieme ad alcuni libri di argomento calabrese, da una figlia del prof. Luigi Talamo.

Militerni “era nato a Cetraro il 26 ottobre 1914, in famiglia signorile, benestante, soprattutto cristiana. Aveva studiato dai PP. Benedettini di Cava dei Tirreni e ottenuto la maturità classica a Salerno e conseguito la laurea in Giurisprudenza a Napoli. La sua prima giovinezza, io – condiscepolo di suo padre – non la vidi fiorire da vicino, essendomi già tanto allontanato da Cetraro; ma sapevo che il padre, uomo d’antico stampo, vedovo precocemente, educava, assisteva, adorava questo suo figlio e il secondo. Soprattutto sapevo, per personale  esperienza familiare, che era rimasta viva e fulgida nella sua famiglia la grande luce di suor Crocifissa delle Battistine, degna della santità: una donna forte e caritatevole, attenta alla vita oltre che alla preghiera; alla vita, dico, delle giovanette del popolo continuamente esposte ai pericoli della strada…Si spense ancora giovane e florida nel 1925 e, tuttavia, quante ne salvò, educandole e conducendole talvolta alle alte gerarchie di quel benemerito  Ordine!

Questo era da riferire almeno per capire la purissima, candida anima di Peppino Militerni e per rispondere a chi, vedendolo spesso in chiesa anche in veste di ispirato oratore, lo giudicò bigotto (ma erano pochi a osar tanto ed erano uomini abituati piuttosto alla taverna). E si comprende anche agevolmente che egli entra in quel partito (Democrazia Cristiana) non per calcolo ma per precisa affinità spirituale e per vocazione ereditata anzi completata dall’educazione. La sicura preparazione giuridica fece il resto perché non diventasse un mistico puro, ma ricordasse le sofferenze dei simili e gli fossero affidati incarichi importanti, dall’amministrazione comunale a quella provinciale fino al mondo politico nazionale nelle elezioni pel Senato del 1958 e del 1963.

Il più vasto campo d’azione, il più pesante complesso dei problemi nazionali impegnarono tutto il suo tempo di questi anni, perché anche la cordialità dell’uomo, la chiarezza delle sue idee, la serietà del suo impegno, conquistarono la fiducia dei più diversi governanti nell’affidare a lui le più eterogenee commissioni, undici per essere esatti. E in quanto a veri e propri disegni di legge, nove. Ma qui conviene rimandare lo (storico futuro) ai tre volumi degli Atti parlamentari.

Inoltre, egli è stato anche scrittore forte ed efficace, tanto se trattasse questioni concrete, quanto se trattasse argomenti storici d’importanza più che nazionale: alludo al volume recente su S. Francesco (Il messaggio sociale di S. Francesco di Paola) e alla Relazione sulla Rada di Cetraro – Il primo porto tirrenico della Provincia di Cosenza.

In questa, che è del 1950, il lettore troverà un’esposizione completa del problema: dal contenuto della legge 1906 sulle opere marittime necessarie alla dimostrazione  geografica e geologica di quella lunga, troppo lunga, troppo deserta costiera: dai pareri favorevoli della Lega Navale Italiana, delle varie Commissioni ministeriali, alla storia documentata negli archivi di Monte Cassino della vita di un porto a Cetraro dal 1086 (dico mille ottantasei!) al 1534 e fino al problema del finanziamento.

Sul Messaggio francescano, bel volume ancora aperto sul tavolo di molti lettori, voglio soltanto sottolineare come il  termine sociale che è nell’intitolazione trovi svolgimento geniale  e puntuale nel contenuto del libro, là dove la figura grezza e rude del Santo è confrontata in tanti modi con la vanità esteriore e interiore degli uomini di quel secolo; cioè in

questi adorazione esclusiva del bello e perfin dell’inutile – per tacere del vizioso -;  nel Calabrese il richiamo solenne alla coscienza, il coraggioso monito anche ai sovrani corrotti e corruttori.

Dico troppo se dico “Santità laica” per questo caro Amico perduto? Una santità di quella che d. Giuseppe de Luca delineava come pietà.

Ma – allora –  perché tante preziose capacità di spirito e di attività, tanto disinteressato impegno, non sono state messe in opera dagli ultimi governanti italiani? Non un ministero, non un sottosegretariato, nemmeno una volta sola.

Il lettore ha già risposto in cuor suo: perché Militerni non chiedeva nulla a nessuno, non s’intrufolava nelle cosiddette correnti! E per questo, anche per questo forse il Signore lo ha chiamato a Sé nel giorno di Pasqua (1967) subito dopo l’eucaristia senza farlo troppo soffrire”.

Di Luigi Talamo, su vari fogli sparsi, ho altri appunti riguardanti il Militerni. Trascrivo solo un passo. “Ha detto nobilmente il Presidente Merzagora commemorandolo al Senato nella seduta del 5 aprile: “… Egli si era conquistato ben presto un posto di primo piano nella nostra Assemblea in virtù della sua profonda conoscenza dei problemi meridionali”.  E poi: “ Relatore di numerosissimi disegni di legge, autore di importanti proposte, oratore efficace e documentato. Egli recò un contributo notevolissimo ai lavori e delle Commissioni riguardanti…l’agricoltura, il lavoro, l’assistenza alle classi lavoratrici, sempre ammirevole interprete dei bisogni e delle aspirazioni della Calabria. Cospicue doti di intelligenza e di preparazione, connaturato senso di responsabilità gli consentivano di cogliere l’essenza delle questioni e di individuare le soluzioni più idonee, visione superiore di quella socialità cristiana che gli derivava dal suo grande conterraneo, Francesco di Paola…”.

Testualmente così, ma assai più lungamente si legge nel resoconto sommario della 595a  seduta. E anche con una breve ma calda aggiunta del ministro dell’istruzione Gui”.

Io, Leonardo Iozzi, ho goduto della stima di alcuni membri della benemerita famiglia Talamo, ma non mi considero lo storico a cui accenna il prof. Luigi, autore del libro “Risonanze”, nel quale c’è il saggio “Un liceo al mio paese”. Sono stato uno dei primi ad avere detto libro perché mi venne dato dal compianto ing. Francesco Manzia, genero del Talamo.