Dopo l’abbuffata di polpette, condite al sugo rancido della maldicenza, si è passati ad una minestra calda, fatta col dado, che rende ormai poco appetibile la mensa quotidiana di notizie, commenti e informazioni che formava la delizia di Cetraro in Rete.
Una piccola parabola informatica, che dimostra come si faccia presto, sul Web, a passare da uno stato lucido di confronto aperto, e magari costruttivo, ad uno allucinato di gratuita offesa verso il prossimo: dove a farne le spese, come al solito, è pur sempre il buon senso, che continua a latitare nelle nostre strade così come nelle nostre teste.
E’ bastato che la redazione di Cetraro in Rete, costretta da un profluvio d’insulti e d’improperi montante come la marea, chiudesse un poco il rubinetto delle divagazioni da osteria, perché anche il quadro dell’informazione pubblica mutasse: sicché oggi la notizia più avvincente è il programma della Settimana Santa e una manciata di foto, belle o brutte, che ritraggono una Cetraro che esiste solo nell’obiettivo d’una macchina da presa.
Le tante ansie, i propositi, i problemi che fanno la realtà d’un territorio sono stati di nuovo relegati ai tavoli dei bar e nelle conventicole di piazza. Mentre la piazza nuova e aperta a tutti, quella che garantiva Cetraro in Rete, s’è messa addosso l’abito, un po’ stretto e soffocante, dell’autocensura: che è la formula più subdola e insidiosa di censura.
“Lei non sa chi sono io” si sente gridar talora in giro, per affermare il diritto di chi grida. I commentatori di Cetraro in Rete preferiscono godere, invece, dell’anonimato. E la semplice richiesta della redazione, di registrarsi come si fa all’anagrafe, ha inceppato la vita turbolenta del portale: ch’era comunque vita.
Come uscire dall’impasse? Tornando allo stato libero ed agevole di accesso al portale – perché la libertà mai deve spaventare – e riservando al giudizio insindacabile della redazione la libertà di cestinare tutti quei commenti che si raccomandano per l’alto grado d’idiozia o di volgarità: perché anche questa è libertà.